Cronache

"Dalla colonia alla pensione: l'Ibm ci prendeva per mano"

Lo scrittore: Luciano De Crescenzo "È un modo per trasformare i dipendenti in protagonisti"

"Dalla colonia alla pensione: l'Ibm ci prendeva per mano"

Luciano De Crescenzo, prima di diventare uno scrittore di successo internazionale, ha lavorato per 20 anni (dal 1960 al 1980) come ingegnere all'Ibm. Un periodo che ricorda con entusiasmo, all'interno di un'azienda che era già globale ancor prima che il termine globalizzazione venisse coniato: «L'Ibm ci prendeva per mano, accompagnandoci non solo nella vita professionale, ma anche in quella privata. Esisteva un senso di appartenenza che si rifletteva anche sulle famiglie. Erano tanti i dipendenti che, in estate, portavano i figli nelle colonie aziendali. Era un bel modo per sentirsi protagonisti di una realtà dove l'emisfero professionale e quello privato si univano nello stesso mondo». Certo, tutto è cambiato dai tempi dell'ingegner De Crescenzo: «Quando ho iniziato io, nel 1960 - ha raccontato una volta al Corriere della Sera quello che sarebbe diventato il professore di filosofia, Gennaro Bellavista - l'Ibm era un mondo a parte. Per sentirsi normali, dico normali, bisognava essere promossi ogni tre anni. Ti davano un grado sempre più alto e una serie di status symbol attorno a testimoniare l'ascesa: un bicchiere sul mobiletto a destra della scrivania, poi due, quattro e infine la caraffa d'acqua. E quando arrivavi alla caraffa, sotto di te avevi già un bell'esercito di persone». Tempi eroici, espansione continua, nessuna concorrenza. E poi? «E successo che questo sistema ha funzionato finché la base della piramide continuava ad allargarsi. Sempre più assunzioni, sempre più capi con le loro caraffe. Ecco perché lo sfoltimento di personale è avvenuto soprattutto ai livelli alti. Perché non si assume più alla base. Ma le qualità umane e personali di questa gente restano fuori discussione». Il motivo? «I tecnici Ibm sono i migliori perché sono nati e cresciuti sapendo fare tutto. Poi sono arrivati i giapponesi...». Anche loro, sotto il profilo dell'azienda globale, non scherzano: «Ma quelli sono quasi dei robot che - quando gli va bene - escono d'azienda solo per dormire.

Non li invidio per niente».

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