«Il colore giusto per il western? Il noir»

Negli Stati Uniti le quotazioni come noirista di Victor Gischler sono salite alle stelle da quando autori come Don Winslow e Joe R. Lansdale hanno cominciato a prodigarsi in elogi del suo lavoro. Dal canto suo, lo scrittore della Louisiana ha dimostrato di che pasta è fatto con storie criminali al fulmicotone quali La gabbia delle scimmie e Anche i poeti uccidono (Meridiano Zero), riuscendo persino a stupire i suoi lettori con un’incursione mozzafiato nel genere fanta-horror con l’apocalittico Black City. C’era una volta la fine del mondo (Newton Compton). E se il successo delle sceneggiature a fumetti realizzate per le serie Punisher, Deadpool e X-Men ne hanno fatto anche un punto di riferimento per i nuovi comics americani, dobbiamo dire che il narratore pulp si è giocato il tutto per tutto nel duello con i lettori italiani nel recente Notte di sangue a Coyote Crossing (Meridiano Zero, pagg. 208, euro 14).
Ne è protagonista il vicesceriffo Tobey Sawyer il quale, a causa di una sveltina extraconiugale, si trova alle prese con una situazione infernale. Prima qualcuno trafuga il cadavere del malvivente Luke Jordan che Tobey custodiva sul pianale del suo pick-up. Poi l’inesperto tutore della legge viene malmenato da alcuni mariachi messicani, quindi preso ad accettate da un suo amico. E, se ciò non bastasse, la moglie decide di abbandonarlo di punto in bianco e il poveretto viene bersagliato da revolverate mentre tiene in braccio il proprio bimbo in fasce. Aggiungete che Tobey è tallonato dai fratelli Jordan che lo ritengono responsabile della morte di uno di loro e avrete capito perché vorrebbe sparire in fretta da Coyote Crossing.
Gischler, lei riesce a fondere nel suo romanzo stili come il noir e il western...
«Credo che siano due generi intimamente legati, specie per quel che riguarda la tradizione letteraria americana. Il western raccontava la Frontiera e credo che il noir sia nato proprio dalla fine di quella grande epopea. Quando la Frontiera venne cancellata, noi americani fummo costretti a guardare verso l’interno, dentro di noi e nelle nostre anime, ma anche nel ventre molle del nostro Paese. Per essere più chiari: facendo riferimento a Notte di sangue a Coyote Crossing, questo tipo di fusione mi ha portato a riflettere sulla possibilità di trasfigurare le classiche situazioni da western (il duello finale, la sfida quasi da Ok Corral) con le cupe atmosfere dell’hard boiled e del noir».
Com’è nato esattamente il suo libro?
«Avevo una voglia pazzesca di scrivere un romanzo in cui si raccontassero i fatti di una notte, una notte sola. All’inizio ho provato scrivendo un racconto, perché pensavo di non avere abbastanza materiale per un romanzo vero e proprio ma, mentre scrivevo, le scene, le idee, gli stimoli sono aumentati in modo esponenziale. La storia ha cominciato a dilatarsi, al punto che non ero più in grado di accorciarla. Ho tentato di tagliarne alcune parti ma la storia resisteva, resisteva come una creatura di cui non riesci più a liberarti. E naturalmente ha vinto lei!».
Fra tutte le colonne sonore possibili per un romanzo pulp lei ne ha scelto una davvero impossibile, costellando la sua storia di canzoni degli Abba...
«Quella degli Abba è una vecchia storia. È un gioco che porto avanti da un po’. Ma al di là delle battute provo grande divertimento nell’utilizzare i contrasti, gli opposti. La musica non dev’essere necessariamente coerente con l’azione delle scene. Ma in qualche modo funziona proprio per quel motivo: perché così facendo va contro le aspettative del lettore. È abbastanza facile per un tipo come me divertirsi con gli Abba».
Strano, la gente pensa che lei sia un duro, una persona rude.
«Questo perché tendono ad associarmi ai personaggi che popolano le mie storie. Tutto quello che devo fare è cominciare a cantare Take a Chance on Me e qualsiasi pensiero circa il fatto che io possa essere un duro si volatilizza all’istante».
Nelle sue storie, qual è il rapporto fra realtà e fantasia?
«Non c’è nessun rapporto.

I miei romanzi sono coerenti con la realtà che vive dentro di loro, ma non devono esserlo a nient’altro del mondo esterno. Rispetto gli autori che utilizzano il realismo, ma io non lo faccio. A me piace andare oltre il limite. La realtà è quello che mi circonda e che respiro ogni giorno. Le mie storie sono qualcos’altro».

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