L’operaio Michele Gatti non è vissuto abbastanza a lungo per vedere la giustizia buttare la spugna. Non era in tribunale,l’altro giorno,a sentire la sentenza che archiviava per sempre come delitti ad opera di ignoti la sequenza di revolverate che quasi trent’anni anni fa - tra il 1981 e il 1985 falciarono uno dopo l’altro quattro dipendenti della Vedril di Rho. Gatti venne ferito alla schiena, mentre andava a lavorare, all’alba del 21 novembre 1985. Altri due operai prima di lui erano stati feriti. Uno, Enrico Malena, era stato ucciso. Da allora Gatti era rimasto paralizzato, su una sedia a rotelle, a domandarsi il perché della sua disgrazia. Due anni fa, all’improvviso, uno squarcio di luce. In Puglia viene arrestato un vecchietto terribile, Leonardo Tanzarella, che ha sparato ad una vicina di casa per uno stupido litigio. Gli sequestrano la pistola, la analizzano. La Scientifica dice che è la stessa 7,65 che negli anni Ottanta seminò il terrore tra gli operai della Vedril. E dove lavorava, in quegli anni lontani, quel caratteraccio di Tanzarella? Proprio a Rho, proprio alla Vedril. Il mistero sembra assumere un senso, per quanto demenziale. «Certo che me lo ricordo, Tanzarella-dirà Gatti in un’intervista al Giornaleun asociale, uno che odiava il mondo». Lo odiava così tanto, dirà l’inchiesta della Procura di Milano, da risolvere a colpi di 7,65 ogni piccolo screzio, ogni antipatia. «Con me- ricorderà Gatti - non aveva nemmeno mai litigato.Ma credo che ce l’avesse su perché io ero stato promosso, e lui no». Quando Tanzarella viene arrestato, dalla scia di sangue della Vedril sono passati molti anni, troppi anni. Il tentato omicidio di Gatti e gli altri ferimenti sono ormai prescritti. Ma l’omicidio dell’operaio Malena no, quello non si prescrive mai. Tanzarella viene processato dalla Corte d’assise di Milano. Processo in contumacia, il vecchietto rinuncia a comparire, preferisce starsene chiuso nei suoi fantasmi e nella cella pugliese dove sconta la pena a diciassette anni per il ferimento della vicina di casa. Sembra un processo scontato. Tutto collima.L’arma.L’occasione. I moventi. Il pm Francesca Celle ricostruisce, una per una, le ruggini che Tanzarella aveva con ognuna delle vittime: con Giovanni Gioiosa, con Giovanni Parrella, con Enrico Malena. Ma poi, in aula, accade l’imprevisto. Il difensore del vecchietto sfodera una perizia balistica che smentisce quella della polizia: non è sicuro che le due armi siano le stesse. La Corte nomina un altro perito. Si lavora su reperti impolverati dai decenni. Dice il perito: in effetti, non si può essere sicuri. Al 90 per cento, le armi sono le stesse. Ma la certezza non c’è. Così alla corte presieduta da Filippo Grisolia non resta altra strada che assolvere Tanzarella. Si dovrebbe dire: torna il mistero sui delitti della Vedril. Ma è un mistero per modo di dire. Il caso Tanzarella è uno di quei casi in cui i giudici sanno benissimo cos’è accaduto, ma devono assolvere perché la logica ha delle regole, e il processo ne ha altre. Diverso, forse, sarebbe stato se il cerchio si fosse chiuso intorno a Tanzarella all’epoca dei delitti, quando i sospetti lo avevano impedito ma non incastrato.
Adesso, invece, era tutto più complicato, tutto più rarefatto, anche se la rabbia delle vittime era ancora dura come sasso: «Voglio vendetta - aveva detto Gatti - lui deve pagare per avere rovinato la mia vita e per avere ucciso il mio amico Malena». É morto prima della sentenza.Colpevole o innocente? Il giallo di Tanzarella operaio dal grilletto facile
Delitti d'epoca. Tra il 1981 e il 1985, una scia di delitti a Rho. Ma la Corte d’assise lo assolve e il caso si riapre. Il suo collega Gatti, paralizzato dai colpi, era morto prima della sentenza
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