Una lite tra condomini, che a stento si conoscono. Il rancore che esplode e la vendetta che si consuma in un attimo. E il proposito che va oltre le intenzioni. Così, un dissidio tra due donne si traduce in una tragedia sfiorata. Una bimba di tre anni viene colpita alla testa da un vaso lanciato dal secondo piano. La piccola viene trasportata durgenza al pronto soccorso del Policlinico. Di lì, è trasferita nel reparto di neurochirurgia, dove viene sottoposta a una tac, e tenuta in osservazione. È grave, ma non in pericolo di vita.
Mancano pochi minuti alle 13, in viale Faenza 3, zona Famagosta. Cecilia L., 46 anni, è affacciata al balcone. In strada stanno passando Caterina R., una giovane ragazza 26enne, e sua figlia, una bambina di tre anni. È in braccio alla madre. Le due donne si conoscono di vista, niente di più. Abitano nello stesso edificio. Ma basta un niente a far scattare la scintilla. Paradossalmente, nasce tutto da un nome sbagliato.
Perché Cecilia, che soffre di disturbi psichiatrici e per questo è in cura da uno specialista, si sente chiamare. Caterina le fa un cenno, e - per errore - si rivolge a lei con un altro nome. È un attimo. Si accende un battibecco, la discussione si anima, i toni si fanno sempre più accesi. «Stai attenta che ti tiro un vaso», dice Cecilia. «Fallo!», è la risposta di Caterina. Che non si aspetta la reazione della donna.
Cecilia, infatti, prende il vaso dal balcone e lo scaglia in strada. Ne lancia anche un secondo. Un «volo» di sei metri, che finisce per colpire di striscio la 26enne, ferendola alla bocca, ma per prendere in pieno la piccola. Lurto è violento, in testa. La bambina sanguina, poi sviene. La madre chiama immediatamente il 118, che trasporta la piccola allospedale in codice giallo. Inizialmente, infatti, sembra che il quadro clinico sia incoraggiante. Poi la situazione si aggrava, e i medici decidono di trasferirla nel reparto di neurochirurgia infantile, dove viene tenuto a lungo in osservazione.
In via Faenza, intanto, arrivano i carabinieri della Barona. Arrestano la donna, e la portano in Procura. Cecilia entra a palazzo di giustizia scortata da quattro militari. Ha laria dimessa. Il pubblico ministero di turno, Tiziana Siciliano, la interroga per un paio dore. Quindi decide per larresto. Laccusa ipotizzata è di tentato omicidio. Cecilia, che davanti al pm fornisce una versione dei fatti che gli inquirenti definiscono «delirante», confessa che «rifarebbe tutto». «Sono io il pm», dice rivolta al magistrato. Ancora, «se avessi saputo che mi avrebbero portato in tribunale, mi sarei vestita meglio». Frasi sconnesse, per lo più.
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