Com’è duro il mestiere dell’hippie a 70 anni

L’abito dell’ex hippie è come quello dell’ex partigiano. Ingualcibile e buono per tutte le stagioni. Ma almeno Crosby Stills & Nash - che stasera a Roma chiudono il loro tour italiano - lo usano per cantare canzoni che sono impresse nell’immaginario collettivo. Già, le canzoni, quelle sì che ti rimangono nel cuore, si attaccano alla pelle, vivono una vita autonoma (in questo caso parliamo della ruggente Woodstock, delle lunghe cavalcate lisergiche di Wooden Ship e Deja Vu, dei sapori intimisti di Guinnevere etc). Ma i concerti di questi dinosauri del rock non sempre fanno bene alla salute. La premiata ditta Crosby Stills & Nash (senza Young) al Milano Jazzin’ Festival venerdì scorso ha dato tutto ciò che poteva dare e anche di più. Stills è quel diavolo di chitarrista che innerva il blues con il rock e lo taglia col country dai tempi dei Buffalo Springfield (la voce s’è abbassata di brutto ma ogni tanto butta lì un ruggito da bluesman che manda in sollucchero il pubblico), Crosby dopo trapianti di fegato e disintossicazioni varie sembra un robot ma sa come toccare la sei corde e come impostare la voce in classici come Long Time Gone, Nash è il più vivace di tutti. Ci danno dentro alternando suoni elettrici e tosti e delicatezze acustiche, coprono con il mestiere i cali delle tre (ex) magiche voci e il numeroso pubblico è in delirio.
E allora dov’è il problema? Il problema è quella tristezza che ti assale guardando il palco e guardandoti attorno. E non sai perché, o forse lo sai troppo bene. Scopri all’improvviso che hai comprato un biglietto senza ritorno; come minimo hai superato i cinquanta e le magagne che vedi in quei tre (Crosby extralarge, Stills con pochi capelli, Nash tutto grigio tanto per dire) sono le stesse che hai tu. Cinquantenni e ultracinquantenni più o meno segnati dalla vita alla ricerca di un sogno ed un mondo che non torna indietro e neppure si ferma. All’improvviso ti guardi intorno e ti senti vecchio e senza scampo, sulla via della nostalgia e del rimpianto. E ti domandi se siano eroi o patetici quei tre che da Woodstock ad oggi non mollano col loro impegno contro la guerra e le multinazionali. E forse hanno ragione loro, e tutti quelli che all’Arena si sono divertiti, hanno applaudito e cantato con convinzione.

«Abbiamo avuto quello per cui siamo venuti», ha detto uno tra il pubblico, però forse piccoli capolavori come Helplessly Hoping e Marrakesh Express è meglio ascoltarseli in solitudine, e possibilmente lontani dallo specchio.

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