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Com’è triste Venezia Il pallone in una canzone

Fondato nel 1907, il club che fu di Loik e Valentino Mazzola cancellato dai debiti

Com’è triste Venezia Il pallone in una canzone

Tony Damascelli

Il Venezia che affonda nella laguna non è una novità. Se è vero, come è vero che sul finire degli anni Venti, per scappare al corteo di creditori i dirigenti dell’allora Venezia football club furono costretti a chiamare il club Serenissima, cambiando l’insegna si tentò di sedare il tumulto. E controllando almanacchi e opuscoli lagunari si trova un’altra conferma storica: nel millenovecentodiciannove fu addirittura il Governo regio a garantire 40mila lire alla società perché resistesse alla crisi. Tutto questo perché nella primavera del 1907 era venuta la stramba idea a un gruppo di venti appassionati di dare vita a una squadra di football, il nome anglosassone era un must perché sull’isola britannica il calcio moderno era nato e cresciuto e proprio contro i marinai inglesi che attraccavano al porto di Venezia con le loro navi il Venezia incominciò a giocare sul serio. L’idea in questione venne a uno svizzero che faceva di nome e cognome Walter Aemissiger, primo allenatore della squadra e fondatore, tra un’ombra de vin e un pesce fritto della fu osteria «da Nane corte dell’Orso», del Venezia, insieme ad altri eroi che si chiamavano Guido Battisti, Antonio Borella, Gerardo Bortoletti, Davide Fano, Baciccia, al secolo Aldo Federici, Pioppa al secolo Pietro Golzo, Silvio Lorenzetti, Pietro Piccoli, Primo Pitteri, Alessandro e Marcello Santi, Luigi Vianello, Pietro Visintin, Mario Vivante. Ho voluto elencarli tutti per darne notizia e memoria ai vari Gallo&Pagliara&Dal Cin contemporanei nostri, coloro i quali non hanno fatto certo la storia ma, ahiloro, soltanto la cronaca del calcio veneziano. Che vanta anche una vittoria in coppa Italia, che ha in fotografia e in libro paga, ingialliti entrambi, le immagini e la firma di Valentino Mazzola che a Venezia si trovava di leva in marina e venne poi venduto, insieme con il fiumano Ezio Loik, in cambio di 1 milione di lire al grande Torino. Erano anni belli, si giocava a pallone sull’acqua, questa era Venezia, tra i turisti che scoprivano San Marco e i tifosi che aspettavano l’Ambrosiana.
Anni sempre inquieti e inquietanti, compresa l’alluvione che portò i veneziani a radunarsi tra un motoscafo e l’altro, passando da Bologna a Verona, con le linee ferroviarie in subbuglio e finire a Milano, salire su un Fokker messo a disposizione dalla federcalcio (che allora qualcosa dunque sapeva fare e faceva) e volare verso Cagliari dove le avrebbero buscate 4 a 0 ma tra gli applausi dei sardi che riconoscevano l’impresa.

Tempi andati, feste tra Sant’Elena e San Marco, sulla bissona che trasportava tifosi e calciatori trionfanti, progetti di allegria, con presidenti veri, Bennati e Valeri Manera e ancora Mazzuccato e Zamparini che riprese il calcio Venezia prima che affogasse, con il salvagente della fusione con il Mestre, il trasloco al Baracca, il ritorno in laguna, la sponsorizzazione multimilionaria, la risalita e poi l’abbandono perché come è triste Venezia non è soltanto una dolce canzone di Charles Aznavour, è l’istantanea di oggi, tra un sindaco filosofo ab urbe condita, una città fantastica, ma anche troppo fantasiosa nei prezzi e una squadra di football che scompare all’insaputa del resto del mondo.

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