«Il comandante dei Ros merita 27 anni di galera»

Milano«Carriera. Potere. Visibilità». Così il pubblico ministero Luisa Zanetti riassume i moventi che avrebbero trasformato undici carabinieri del Ros - il reparto di punta dell’Arma - in una cellula impazzita, una banda di trafficanti di droga e di armi che inventavano operazioni di servizio al solo fine di farsi belli. Alla testa della cellula impazzita, secondo la Procura milanese, il generale Giampaolo Ganzer, comandante del Ros, e il suo ex vice Mauro Obinu, oggi capo della scuola di formazione dei servizi segreti. Al termine di un processo durato cinque anni e di una requisitoria che ha occupato dodici udienze, la pubblica accusa chiede per Ganzer e Obinu una pena terrificante: ventisette anni di carcere a testa. A rendere inevitabile una pena di questa fatta, spiega l’accusa, l’aggravante dell’organizzazione armata: perché, dice il pm, gli uomini di Ganzer impiegavano le loro Beretta in dotazione per proteggere trasporti di droga, consegne, raffinerie.
Insieme ai due generali, la Procura chiede di condannare altri nove carabinieri a un totale di oltre due secoli di carcere. Ma a rendere la requisitoria della dottoressa Zanetti materiale istituzionalmente esplosivo è, inevitabilmente, la figura dell’imputato numero uno. Perché Ganzer non è solo un pezzo di storia dell’Arma, braccio destro del mitico colonnello Bonaventura, l’eroe della caccia alle Br. Ma è tuttora uno dei carabinieri più potenti d’Italia, rimasto alla testa del Ros nonostante le imputazioni a suo carico, e in questa veste autore di inchieste di delicatezza estrema, da quelle sul terrorismo islamico all’affaire Bertolaso. La scelta del’Arma, supportata dai governi sia di centrodestra che di centrosinistra, di lasciare Ganzer al suo posto non è mai stata digerita dalla Procura milanese. Ma il fatto che Ganzer sia ancora al suo posto ora rende ancora più eclatante la richiesta di una pena che, se accolta, lo chiuderebbe in carcere fino al resto dei suoi giorni.
Per cinque lunghi anni, Ganzer ha ricoperto una carica dello Stato e intanto, ogni due settimane, saliva a Milano a fare l’imputato. Stava seduto nei banchi, a prendere appunti mentre l’accusa squadernava le sue carte, lo accusava di avere tollerato, istigato, coperto le cose da pazzi che avvenivano al Ros di Brescia, con carichi di droga e di armi che andavano e venivano, si materializzavano e svanivano nel nulla, e fiumi di denaro che dalle casse occulte dei Ros finivano nelle tasche di confidenti e trafficanti. La Procura aveva chiesto di interrogarlo in aula. Poi ci ha ripensato. Ma Ganzer è andato ugualmente a sedersi davanti ai giudici, rispondendo alle domande del proprio avvocato. E ha spiegato come e perché di quei deliri investigativi non poteva sapere nulla. Come aveva già fatto in un memoriale in cui rispondeva a brutto muso alle accuse lanciate contro di lui da Armando Spataro, suo vecchio amico dell’epoca del terrorismo, divenuto teste d’accusa contro di lui per un carico da duecento chili di coca: «Il dottor Spataro all'epoca dei fatti non eccepì quelle perplessità manifestate poi», scrisse. O della storia dei miliardi in Svizzera riciclati spendendo il suo nome dai marescialli del Ros di Bergamo, «che sono venuti in aula a dire che io non ne sapevo niente».
Ieri Ganzer non è in tribunale a sentire la richiesta della Procura. Quando le agenzie annunciano la stangata, reagisce come sempre: «Ho fiducia nella giustizia e nel tribunale», fa sapere, specificando che intanto «continuo a fare il mio lavoro con serenità». Per la sentenza si dovrà attendere dopo la metà di maggio. Ma, vada come vada, la carriera di Ganzer finisce qui.

E, vada come vada, questo resterà un processo ai meccanismi a volte diabolici che animano il lavoro degli investigatori, a quella caccia al risultato che è il motore di molte inchieste importanti, e che però a volte diventa furore e delirio, dove le regole della legge vengono lanciate per aria non per volgare bramosia di quattrini (che anche nella ricostruzione della Procura resta un elemento marginale, se non accidentale) ma in una sorta di trance agonistica dove conta solo andare in gol. Quanto ne sapesse il generale di brigata Giampaolo Ganzer è ora materia che dovranno sciogliere i giudici.

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