Il comandante dell'11/9 odiato da mezzo mondo La storia gli darà ragione

Bisogna aspettare e prendere appunti: 11 giugno 2008. Scattate le fotografie e conservatele, era l'ultimo viaggio in Italia di un presidente che dovrà essere giudicato con calma, che sarà catalogato dal futuro, che sarà valutato quando sarà un pensionato con lo Stetson in testa. A Roma fischiarono, quel giorno. Follia: quello che non accadde con Ahmadinejad, avvenne con George W. Bush, perché buoni e cattivi spesso vengono confusi, perché la diplomazia a volte inverte i ruoli, perché l'antiamericanismo è uno dei mali degli ultimi decenni. Da quell'Air Force One atterrato a Roma, quel giorno scese un uomo che ha cambiato il mondo. Sì, l'ha cambiato: ha ereditato gli anni Novanta, ha gestito il post 11 settembre, ha cominciato la guerra più difficile della storia degli Stati Uniti, quella al terrorismo globale. George W. Bush, il criticato, l'odiato George W. Bush s'è trovato a gestire i disastri della sicurezza nazionale americana dell'era Clinton, ha visto il suo Paese subire l'attentato terroristico più grave, ha visto le lacrime e la paura della gente. Bisogna aspettare, perché la storia non finisce e si trascina: la politica internazionale americana, l'esportazione della democrazia in Medio Oriente non possono essere giudicate adesso. Ci vuole tempo, ci vuole pazienza. Harry Truman fu il presidente delle bombe H su Hiroshima e Nagasaki, della violenza inaudita per l'umanità. La storia l'ha riabilitato ampiamente, la campagna elettorale americana 2008 l'ha addirittura santificato.
George Walker Bush è stato l'uomo potente che ha subito la più enorme campagna mediatica «anti» dell'ultimo secolo. La campagna militare in Irak contestata come un affare personale, la caduta di Saddam Hussein presa come una specie di insulto all'umanità, la guerra ai Talebani che proteggevano Al Qaida considerata quasi una azione contro un governo legittimo e democratico. Quando l'Irak sarà definitivamente pacificato e l'Afghanistan anche, il mondo scoprirà che il poliziotto Bush sarà servito e avrà reso un favore all'umanità.
L'Europa l'ha detestato per la gran parte del suo doppio mandato: al crepuscolo della sua esperienza alla Casa Bianca Bush s'è trovato con pochi amici veri, ma incredibilmente - per chi l'ha odiato - ha lasciato un senso di nostalgia. Il paradosso: Bush ha abbandonato il contesto internazionale mentre qualcuno, pochi, ma più di quanti fossero prima, cominciava a rendergli giustizia. Per sette anni ha avuto tutti contro, l'opinione pubblica internazionale condizionata dalle inchieste e dalle pseudoinchieste della stampa liberal americana, le diplomazie internazionali, le Nazioni Unite.
Dal punto di vista internazionale e militare, l'America di Bush era più forte dell'America di Clinton, e la prova sta nel fatto che Barack Obama, democratico, liberal, politicamente corretto, non ha cambiato le basi e i punti fermi della politica estera di Washington.
Per sempre George W. Bush sarà il presidente dell'11 settembre e per quello che è accaduto dopo: l'attacco all'Afghanistan e quello all'Irak, la lotta al terrorismo internazionale islamico. In quella mattina di settembre il presidente era in Florida, ospite di una scuola nella quale avrebbe dovuto spiegare che cosa fa un presidente. In un minuto cambiò la storia e da presidente Bush diventò per molto tempo il «comandante in capo». Sulle macerie delle Torri Gemelle, Bush parlò all'America e al mondo: siamo in guerra, disse, e i nemici degli Stati Uniti saranno scovati in ogni angolo del pianeta. Il Paese stava con lui. Oltre il 90 per cento di approvazione dell'operato della presidenza fu la dimostrazione che l'America era con lui, considerandolo degno, risoluto, preparato, affidabile. Tutto ciò che la retorica successiva avrebbe provato a smentire e che, invece, all'epoca, esisteva: il consenso, la fiducia, l'appoggio degli americani. Le sue risposte nell'ordine furono tre: 1) la guerra ai Talebani immediata e vittoriosa nella sua parte iniziale; 2) l'emanazione del Patriot Act, la legge che aumentava il potere delle agenzie federali di sicurezza e che limitava la privacy dei cittadini americani; 3) la creazione della prigione di Guantanamo a Cuba per detenere lì i terroristi. Tutto questo, con la guerra in Irak, è stato usato per definire la presidenza Bush cattiva, militarista e imperialista. Però è curioso che, anche in questo caso, la democraticissima amministrazione Obama non abbia praticamente cambiato nulla. La verità, incofessabile per troppi, è che Bush ha definito i contorni della nuova politica estera americana, quella che pone le basi sull'esportazione della democrazia e che i presidenti che verranno dovranno tenere in conto. Obama già lo fa, e così sarà per gli altri.
Un nuovo posto nella storia, allora. Senza dimenticare i gravi errori della sua amministrazione: le violenze di Abu Grahib su tutti e poi l'improponibile gestione dell'emergenza dell'uragano Katrina. Ci sta tutto nell'analisi di una presidenza, pro e contro. Oggi però l'odio anti-bushiano è troppo caldo. La riabilitazione avverrà in seguito. Per giustizia. George W. Bush un giorno finirà anche di patire il refrain del raccomandato, del figlio di messo lì da un potente ex presidente. Un'altra scomoda verità è che la macchina elettorale, politica e culturale di «W» è stata fortissima: il presidente texano (politicamente, perché è nato nel Connecticut) ha avuto una squadra di spin doctor e consiglieri, guidati da Karl Rove, che hanno capito meglio e prima di altri che cosa accadeva nel Paese e nel mondo. Loro, per esempio, avevano individuato la necessità dell'America di ritrovare le basi della fede nella politica. E la presidenza Bush, per convinzione e non per convenzione, è stata in questo diversa da tutte quelle del Novecento. Bush è stato il presidente delle «sedute di preghiera» alla Casa Bianca, che si circondava di predicatori ardenti, che non si vergognava del proprio zelo.
Nelle interviste diceva: «Mi affido a Gesù per non sbagliare». Nella cinematografia e nella saggistica politicizzata questo era un altro elemento di derisione del personaggio. Tutto faceva comodo per disegnare il ritratto di un uomo oscurantista, medievale, ambiguo, qualcosa che facesse comodo per alimentare anche le strampalate ricostruzioni complottistiche sull'11 settembre.

Quelle che parlano di una spectre che con il consenso implicito di Bush e del resto dell'amministrazione avrebbe immaginato e realizzato gli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono. I tremila americani morti sarebbero le vittime inconsapevoli di un presunto fuoco amico. Follie smentite dalla cronaca e dalla storia. Anche queste troveranno il giusto posto nel futuro. Nella spazzatura della storia.

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