Da sempre, appena sento parlare di sindacato, ho un moto di scetticismo e mi viene voglia di mettere mano alla fondina.
La mia idea di base sui sindacalisti (o, almeno, su molti di essi, ci mancherebbe altro, ogni generalizzazione è sempre sbagliata e pericolosa) è che si tratti di quei signori - moltissimi dei quali entrano in politica e spesso diventano anche presidenti delle Camere - che sono i maggiori responsabili di stipendi livellati al basso, di sciocchezze come il «salario variabile indipendente» e di una concezione che vede il datore di lavoro (pardon, il padrone o, peggio, il «padronato») come il nemico pubblico numero uno, anzichè lavorare ad un patto fra produttori in cui tutti ci guadagnino. In particolare, penso che le maggiori vittime di questo modo di fare sindacato siano gli operai, pardon «la classe operaia».
Proprio per questo, sentire parlare Antonio Apa, segretario generale della Uilm genovese, il ramo metalmeccanico della Uil, è musica per le mie orecchie. Perchè Apa è lesatto opposto del sindacalista descritto prima. (...)
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