Il commento La Cgil si rifugia negli scioperi e fa harakiri

Dopo lo sciopero effettuato sabato, Cgil e Fiom ora ne annunciano un altro, questa volta generale autolesionistico per i lavoratori, come quello appena fatto. In particolare questi scioperi sono autolesionisti per i lavoratori del Mezzogiorno. Infatti la protesta riguarda i contratti di lavoro aziendali, in deroga al contratto nazionale, cioè il modello che l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, ritiene necessario per Pomigliano d’Arco, Melfi e gli altri stabilimenti del gruppo, come condizione per mantenere la produzione di auto in Italia. E questo modello serve a tante altre imprese, per essere competitive. Tali contratti non comportano meno salario, ma più salario perché implicano più ore di lavoro straordinario e notturno per un utilizzo maggiore degli impianti. Inoltre il governo Berlusconi ha stabilito che saranno applicate aliquote fiscali ridotte sul reddito del lavoro notturno e sui premi di produttività. Con questi contratti si sventa la minaccia di perdita di posti soprattutto nelle grandi imprese.
Che coerenza c’è a lamentarsi della estesa cassa integrazione, come fa la Cgil, e non voler firmare i contratti legati alla produttività che servono per difendere l’occupazione? Non è forse demenziale rifiutare tali contratti in un periodo di crisi? Certo, con i contratti a livello aziendale in deroga a quelli nazionali, la Cgil perde potere e ne perde la sua associazione sindacale più estremista, la Fiom, che è quella dei metalmeccanici. In cambio del minor potere del sindacato centrale c’è il maggior potere di quello di fabbrica, che è spesso più riformista. La Cgil, per non perdere il potere centrale, induce gli operai a chiedere di non lavorare secondo il modello accettato dai lavoratori tedeschi che fa sì che la Germania sia attualmente leader della crescita economica e della produttività in Europa.
Anche Confindustria con Cisl e Uil che hanno firmato gli accordi per i contatti aziendali con questa mossa riducono il proprio potere centrale. Ma hanno scelto la via in questione per l’interesse generale dei loro aderenti. E così dimostrano senso di responsabilità e spirito di liberalizzazione. Per protesta contro le scelte di Cisl e Uil, nelle manifestazioni di Cgil e Fiom ci sono lanci di candelotti, insulti e minacce, in particolare dirette a Raffaele Bonanni (Cisl). La linea difensiva adottata da Cgil e Fiom in relazione a tali espressioni di violenza contro i sindacati liberi, e i loro leader, consiste nel condannarle dicendo che si tratta di comportamenti di estremisti infiltrati, che loro non condividono. È una giustificazione incoerente in quanto rende palese che vi è una saldatura di fatto tra gli estremisti e la linea della Cgil. L’annuncio di uno sciopero generale, in queste condizioni, indica che Cgil e Fiom sono disposte a correre di nuovo il rischio che al loro movimento sindacale si uniscano gli estremisti dei centri sociali, i no global e le altre frange antisistema, che predicano e praticano la violenza, pur di marciare contro il governo, e ovviamente contro Confindustria e le altre associazioni di imprese, contro Cisl, Uil e gli altri sindacati liberi, che rappresentano la maggioranza dei lavoratori.
Il Pd sullo sciopero di sabato e su quello futuro si è spaccato in due, anzi in tre. Una parte minore si è dissociata dallo sciopero fatto e da quello futuro. Un’altra parte, anche essa minore, però, vi si è associata in modo netto assieme al partito di Antonio Di Pietro, che si configura oramai come un partito estremista. Queste due parti del Pd, una nettamente pro e una nettamente contro gli scioperi in questione, si elidono a vicenda. Resta la maggioranza del Pd rappresentata da Massimo D’Alema, «padre nobile» del partito, da Pier Luigi Bersani, segretario generale in carica e da Stefano Fassina responsabile economico. Essi approvano entrambi gli scioperi perché esprimono il disagio dei lavoratori e bisogna «ascoltare le richieste della piazza», in quanto espressione di democrazia.

Questa sarebbe la nuova maggioranza che si propone come alternativa di governo a quello attuale. Ed è su tali forze politiche che dicono che «bisogna ascoltare la piazza» che dovrebbe fondarsi il governo tecnico, che alcuni ambienti industriali e finanziari accarezzano, disposti a tutto pur di abbattere Silvio Berlusconi.

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