Nel 1966 fu proiettato nelle sale cinematografiche italiane un film di Dino Risi intitolato «Operazione San Gennaro». La trama verteva su un rocambolesco per quanto improbabile furto: quello del cosiddetto «tesoro di San Gennaro». In una delle scene si vedeva un vigile in bicicletta sorprendere, di notte, due uomini (parte della nostra banda) entrare in un palazzo fatiscente, su cui era affisso il cartello: «Stabile pericolante». La guardia, fermata la bicicletta, esclamava: «Ehi, voi
dove andate? Il palazzo è pericolante!» e gli uomini di rimando: «Ma noi ci abitiamo». Risposta del poliziotto: «Ah, scusate
».
Una decina d'anni dopo, Mondadori pubblicava un libro di fotografie scattate da Luciano De Crescenzo, intitolato La Napoli di Bellavista. Uno degli scatti più significativi presentava un vicolo dove ferveva la vita: all'angolo destro della stradina cinque «bancarielli» (banchetti) di contrabbandieri, a quello destro venditori di frutta, e altri banchetti abusivi, lungo il vicolo gente che andava e che veniva, incurante di un vistoso cartello che avvertiva: «Attenzione. Pericolo crollo».
La Napoli del Duemila è ancora la Napoli degli anni Sessanta e Settanta, benché qualcuno (molti, per disgrazia) abbia parlato di «rinascimento». Vorrei prendere per mano i miei lettori e accompagnarli in giro per la città. Di cartelli «Attenzione. Pericolo crollo» o «Stabile pericolante» ne vedrebbero a decine, la maggior parte nel centro antico. Eppure in molti di questi edifici la gente vi abita, e ai piedi di questi edifici si muovono persone come formiche. Se all'improvviso, da queste case sgarrupate si stacca un pezzo di cornicione, o c'è un rumore sospetto, gli inquilini scappano terrorizzati, al grido di: «Fuìmmo, 'o palazzo ce sta cadènno 'ncuóllo!» (Fuggiamo, il palazzo ci sta crollando addosso!) ma se il palazzo non cade, si ringrazia San Gennaro, si varca di nuovo il portone, si risalgono quelle scale frettolosamente discese, e tutto torna normale.
In qualsiasi altra parte del mondo può piovere a dirotto, ma dopo la pioggia -salvo casi eccezionali- non si contano morti. Sono stato a Parigi, a Praga, a Budapest, a Londra, costretto in albergo da piogge torrenziali, ma l'indomani nessuno versava lacrime sul cadavere di qualche disgraziato il cui solo torto era quello di trovarsi in casa con i familiari. A Napoli, quando piove, è più sicuro stare all'addiaccio che nelle quattro mura domestiche. Perché da noi -lo abbiamo visto- nelle case pericolanti ci abitano, e ci abitano sempre più immigrati. Il Comune lo sa e chiude un occhio (l'altro glielo fa chiudere con un pugno la camorra). Come lo chiude sui garage che da qualche tempo non riparano più automobili ma danno asilo ad extracomunitari: due, tre letti, un cesso, un lavabo, e un aeratore per non fare la fine dei topi.
È vero che la palazzina di Afragola era stata di recente ristrutturata, ma è pur vero che i dissesti del sottosuolo sono un fenomeno che si ripete da tempo immemorabile nell'area napoletana.
Siccome l'acqua fuoriesce, bisognerà augurarsi che il paese del sole si trasformi a poco a poco nel Sahara.
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