Mai come in questi giorni, ci sono articoli che scorrono come lacqua sotto la doccia. E solidarizzo pubblicamente con i colleghi - ce ne sono tanti, credetemi - che sono obbligati dai loro capi a fare giri di telefonate che suonano pressappoco così: «Scusi, sono del giornale xy e vorremmo un commento sullarticolo al centro della nostra prima pagina e delle locandine odierne». A questo punto, il povero interlocutore sfodera il più innocente dei «Mi perdoni, ma oggi sono molto impegnato al lavoro e non lho ancora letto». Il poverino, quindi, torna alla carica, riassumendo tema e contenuto dellarticolo bomba e riesce a strappare al malcapitato interlocutore un commento, magari generico, immediatamente elevato al rango di titolo: «Il problema esiste e, dopo le opportune verifiche, ce ne occuperemo».
Poi, cè il Giornale. Che magari (e anche senza magari) vende meno copie delle corazzate di carta e inchiostro. Ma che ha un popolo di lettori che pensa, si indigna, soffre e pulsa per ciò che scriviamo.
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