Il commento Dipietristi e grillini: protesta «europea»

Il voto del 15 e 16 maggio al di là delle pur forti caratteristiche locali esprime una tendenza nazionale. In particolare si intravede il definirsi di un’area simile a quella del «mal di pancia europeo» che finora non si era espressa elettoralmente come in Francia con i lepeniani, con i movimenti di protesta olandesi e scandinavi o con partiti come quello postcomunista tedesco.
Sinora l’antipolitica berlusconiana e il mix di lotta e di governo della Lega Nord avevano abbastanza assorbito spinte che nascono in tutto il Continente dalla crisi dello Stato sociale e da fenomeni come quello dell’immigrazione. Nell’ultima tornata elettorale certi messaggi del centrodestra semplificati paiono avere fatto meno breccia. E i leghisti non sono riusciti né distinguendosi (come in parte hanno fatto in campo nazionale o a Milano) né dividendosi come è successo esemplarmente a Gallarate, a raccogliere i malcontenti determinati dal berlusconismo.
La protesta «all’Europa» pare esprimersi oggi nei grillini (che a Milano, Bologna e Torino pescano anche nell’elettorato leghista) in forcaioli come Luigi De Magistris, in una certa simpatia per i pm antiberlusconiani e sostanzialmente eversivi che hanno influito sulle elezioni per Palazzo Marino.
Le nuove tendenze peseranno subito sugli scenari politici: il berlusconismo pur con tutte le sue ritrosie dovrà mettersi a fare politica senza più vie di fuga come si è già visto nella costruzione del rapporto con i Responsabili o nelle scelte di politica estera. Il limite posto da un’antipolitica gestita da altri imporrà questa scelta.
E questo mi sembra anche il destino leghista: se svanisce la via della protesta si tratterà di privilegiare il profilo di governo. La questione diventa strategica e ineludibile. C’è chi - per esempio Stefano Folli sul Sole 24 ore - ritiene che la scelta del profilo di governo Umberto Bossi la farà accentuando il conflitto-competizione con Silvio Berlusconi. Non mi sembra che questo convenga al leader padano anche elettoralmente, mi sembra che gli sia più utile stringere i rapporti - senza dubbio chiedendo contropartite e garanzie - piuttosto che affondare l’unica barca di cui dispone, cacciandosi magari nelle reti di un governo di solidarietà nazionale che sarebbe il bersaglio di tutta la crescente protesta.
Se il tentativo di un governo tecnico non mi pare un obiettivo bossiano, lo è invece di quell’ampio schieramento di nomenklature, da Pier Ferdinando Casini a Gianfranco Fini a Massimo D’Alema, che vedono nel medio periodo il formarsi a sinistra di un’alleanza liberalriformista-radicalestremista che ha chance di presentarsi come vera alternativa al centrodestra (dal sindaco di Firenze a Nichi Vendola e Giuliano Pisapia).

I «padroni» del gioco politico (nonché interlocutori dei poteri immobili della Repubblica e di un articolato sistema di influenze straniere) vedono all’orizzonte una dinamica non controllata da loro (e magari più diretta dalla «Repubblica») anche a sinistra e faranno di tutto, cercando sponde e dinamitardi in tutti gli ambienti. Ma se non ce la fanno rapidamente saranno fuori gioco. E in questo senso uno come Casini prima di essere escluso dalla prossima manche, farà le sue mosse.

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