Il commento Il genio d’Oltralpe che ha stregato i teatri milanesi

C'era una volta Jean-Luc Lagarce, un eclettico uomo di teatro che nella sua brevissima parabola (è morto nel '95 a soli trentotto anni vittima dell'Aids)è stato un infaticabile animatore della scena d'oltralpe. Laureandosi prima come attore e scenografo, poi come regista e critico e infine come autore tout court dopo aver fondato una casa editrice che, ironia della sorte, è divenuta oggetto di culto solo dopo la sua scomparsa per aver pubblicato quei testi oggi esportati con successo in tutta Europa come simbolo di disagio esistenziale. Prima che da noi se ne accorgesse, mesi fa, il Piccolo coi «Pretendenti» e «Giusto la fine del mondo» seguiti a ruota dal brillante exploit del milanesissimo Out-Off che, con «Ultimi rimorsi prima dell'oblio» ha superato per profondità di concezione e perfetto equilibrio di messinscena entrambi gli spettacoli del nostro massimo ente. Vi chiederete perché, e ve lo spieghiamo subito. I testi di Lagarce, in apparenza fin troppo semplici nel loro voluto schematismo, a una prima lettura appaiono disadorni e quasi irrappresentabili. Dato che si occupano di problemi quotidiani e portano in scena non tanto gli eroi negativi della cronaca nera, come faceva Koltès, l'autore maledetto per eccellenza di questi ultimi anni, ma piccoli uomini ossessionati da misere questioni di famiglia se non da ricorrenti problemi economici. Il cui desolato e impotente mal di vivere, come ammoniva una delle canzoni più struggenti di Barbara, va rintracciato nell'inesorabile stillicidio quotidiano. Tra le pieghe e le beghe di un consiglio d'amministrazione come accade nei «Pretendenti» in cui queste patetiche figurine di travet si agitavano simili a fragili fuscelli scossi dal vento nella regia frenetica e parossistica di Rifici. Oppure nel desolato delirio di una famiglia visitata, dopo anni d'abbandono, da un uomo malato e sofferente che spera di ritrovare l'incanto dei giorni perduti dell'infanzia in un ultimo disperato colloquio come succede in «Giusto la fine del mondo». Lo spettacolo di Ronconi esaltato da cima a fondo da uno stridulo declamato in falsetto che, esasperandone la glaciale staticità, mutava il testo in un requiem sulla morte delle illusioni. Mentre, in «Ultimi rimorsi prima dell'oblio», lo strano e inquietante menage à trois di due uomini e una donna che si ritrovano dopo molto tempo per vendere la casa dove si è svolta tra alti e bassi la loro vita in comune diventa, nella regia calcolata con millimetrica precisione da Lorenzo Loris, il più desolato e perfetto dei teoremi sull'attuale incapacità a fondare un nuovo concetto di famiglia. Grazie alla resa commossa ed eccentrica dei suoi attori.

Tutti bravissimi a cominciare dall'enigmatico Giovanni Franzoni affiancato con dolente dedizione da Sabrina Colle e dalla grazia nervosa di Sara Bertelà. Tutti coinvolti nella resa a discrezione di un mondo asettico e doloroso in una suadente e insidiosa complicità col loro autore.

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