Pochi, pochissimi amano i banchieri e ne hanno ben donde, ma di qui a ritenerli la fonte di tutti i mali ce ne corre. Invece, i governi dei Paesi occidentali sembrano aver trovato i capri espiatori lasciando da parte le responsabilità della finanza internazionale nelle sue varie espressioni, dagli organi di controllo alle agenzie di rating, e quelle ancora più gravi della politica caratterizzata in questi 15 anni da un pensiero unico che ha fatto della deregolamentazione selvaggia dei mercati finanziari il proprio totem. E così le Borse sono state trasformate in vere e proprie sale-corse in cui si scommetteva su tutto.
La riunione di ieri a Londra dei ministri finanziari europei in preparazione del G20 che si terrà a Pittsburgh ha posto al centro della discussione il tema della riduzione dei bonus dei manager bancari. Cosa anche giusta ma che certo non rientra nelle competenze della politica che sino a ieri ha fatto finta di non vedere come quei bonus, che oggi si criticano, erano legati a performance di breve periodo, così come avveniva nelle grandi imprese e nelle agenzie di rating, con una oggettiva tentazione di fare «cordate» oggettivamente illecite.
È il mercato, gridavano tutti, a cominciare da economisti, politici e ministri, e invece di processare quel pensiero unico contro il quale inutilmente abbiamo scritto per anni si mettono sul banco degli accusati solamente i manager bancari con unottica riduttiva e semplicistica. Una volta «puniti» i banchieri il problema, però, non è risolto. I governi devono subito mettere mano da un lato a quello che Tremonti chiama un diritto globale per una economia globale e dallaltro a divieti precisi ai mercati finanziari. Perché, ad esempio, deve essere consentito, attraverso i «futures», di scommettere sulle materie prime alimentari ed energetiche lasciando che la speculazione governi i prezzi al posto del vecchio e saggio metodo della domanda e dellofferta? Se si pensa che si contrattano barili di petrolio in numero di gran lunga maggiore di quelli che saranno prodotti si capirà qual è il livello della speculazione mentre negli Stati Uniti cè da sempre il divieto ai futures su alcuni particolari prodotti alimentari. Questo ed altri divieti, insomma, potrebbero di nuovo riportare i mercati finanziari ad essere uno strumento al servizio delleconomia e non continuare a essere solo unindustria del denaro che ha come obiettivo di fare altro denaro con la finanza creativa e spesso truffaldina.
La guerra che i governi dovranno affrontare dunque è durissima perché la finanza internazionale è senza volto, ha complicità spesso impensabili e inconfessabili e perché ha una «forza occulta» sulla politica che mai come in questi anni è stata solo a guardare. Lottimo lavoro fatto sin qui dal Financial Stability Forum guidato dal nostro Mario Draghi questi temi li sta affrontando senza lasciarsi accecare dalla tentazione di offrire capri espiatori al pubblico ludibrio. Se si vuole davvero «punire» i banchieri per alcune oggettive scelte sbagliate si attivi la leva fiscale senza stravolgere anche una delle poche regole fondamentali che dovrebbe avere uneconomia di mercato, quella che a definire il trattamento economico di un manager sia l'azienda, pubblica o privata che sia.
Resta sullo sfondo di questa discussione luscita dalla crisi. I segnali di ripresa sono ancora flebili nel mentre gli effetti sulloccupazione si stanno solo ora facendo sentire in Europa che ha, rispetto agli Usa, un tempo di latenza tra crisi e occupazione molto più lungo per la presenza di forti ammortizzatori sociali. A oggi lEuropa registra un tasso di disoccupazione al 9,5% con prospettive purtroppo di crescita. I Paesi emergenti stanno riprendendo a fare la loro parte tanto che il segno positivo del Pil di Francia, Germania e Giappone è strettamente legato allespansione del Pil cinese ma cè bisogno di fare di più e con maggiore coordinamento in particolare nei Paesi come il nostro nel quale coesistono altissimi debito e deficit, forte recessione (-6%) e aumento del tasso dinflazione con un impatto notevole sul potere di acquisto dei cittadini già segnati dalla riduzione dei propri redditi.
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