Se i Beatles si fossero tagliati i capelli, non avrebbero perso un pelo della loro immagine musicale e della loro fama. Nel suo piccolo, Allevi, non lo so. Così minuziosamente e pezzo a pezzo è costruita la sua notorietà e la sua qualità è così precaria, che ho paura che gli accadrebbe quello che temono i bambini quando giocano alle costruzioni: il palazzo può essere alto, ma basta togliere un legnetto che tutto casca.
Giovanni Allevi è un prodotto brillante di questo tipo di costruzione su misura. Ogni grande successo va impostato da specifiche organizzazioni: è stato dimostrato come fu eccellentemente seguito, anno su anno, Toscanini, facendo coincidere la bravura musicale con la spasmodica autorità sul podio e con il patriottismo da italiano esule contro la dittatura; e fu possibile perché Toscanini a queste qualità rispondeva stupendamente sul campo. Abbiamo visto celebrare settimana su settimana Pavarotti, la voce che ammaliava, l'emiliano simpatico dovunque nel mondo fedele a se stesso, cavalli e beneficenza, opera e pop; qualità che mostrò tutta la vita. Questi sono miti creati per la storia, qualità assolute, su cui le case discografiche, gli editori, la radio, i giornali possono puntare seguendo le leggi internazionali della pubblicità.
Poi c'è invece la costruzione del personaggio che si fa notare per qualche gesto che risponde a esigenze momentanee della società: allora tutti i riflettori si accendono su di lui, o su di lei, cercando di cogliere il momento decisivo e irripetibile della sua vendibilità. Allevi era adattissimo per questa operazione: abbastanza preparato come tecnica, sufficientemente estroso per collage di trovate e memorie brevi musicali, coglieva l'onda vincente di coloro che, sulla scorta del grande e inimitabile Keith Jarrett, riportavano il pianoforte da cassa di musicale risonanza del passato classico o da strumento funzionale ai linguaggi d'avanguardia, cose da palcoscenico, idealmente al centro di amichevoli ascoltatori, improvvisando. Più degli altri, aveva l'improntitudine felice di dichiarazioni da finto filosofo un po' svitato, a cui, seguendo una sua impronta naturale, si è dato anche un ritratto fisico coerente.
Da qui, l'impatto. E lo slogan che oggi, in una società sempre più anziana, va sfruttato come ancora irresistibile: è musica che piace ai giovani. L'immagine lo rafforza: con tutte quelle matite nel cervello quello dev'essere uno che pensa a colori. Graduatissima l'operazione: dopo alcuni dischi ripetitivi al pianoforte, il miracoloso evento di dirigere un'orchestra, e le dichiarazioni di avere imparato guardando i direttori veri su YouTube, che cosa di più nuovo e giovanile? Tanto le orchestre, con i direttori sotto un certo livello, si organizzano da sole, basta guardare il suo attacco del Minuetto di Puccini, in YouTube naturalmente, e ascoltare che cosa invece suonano gli strumentisti. Il guaio è che scrive anche per orchestra, e qui bisognerebbe almeno avere qualche cognizione di timbrica e di contrappunto, perché i musicisti sembrano marciare tutti insieme alla ricerca di un'idea. Ma questa può passare per una fase magmatica fra tradizione classica e novità, non è roba da giovani? Basta dirglielo.
Mi piacerebbe parlarne con qualcuno dei parlamentari, che l'hanno applaudito al Senato pensando di accogliere la musica che piace ai giovani.
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