Il commento In lotta contro tutto, ma senza obiettivi

Ma chi sono questi ragazzi che manifestano, nella stessa occasione e con lo stesso corteo contro: la riforma universitaria, i tagli alla cultura, il monopolio dell'informazione, l'affossamento della ricerca, le espulsioni degli immigrati clandestini, il lavoro precario, l'accordo alla Fiat di Pomigliano, il governo Berlusconi… insomma un po’ contro tutto e tutti? Possibile che nessuno abbia spiegato loro che manifestare o scioperare o lottare per tanti obiettivi diversi è un grave errore politico che porta inevitabilmente alla sconfitta o alla irrilevanza e lascia l'egemonia agli estremisti? Evidentemente no, nessuno glielo ha spiegato. E infatti ormai è chiaro a tutti che il controllo delle manifestazioni di questi giorni, siano esse un corteo sedicente studentesco dalla Statale a piazza Duomo o una protesta - come da quarantennale tradizione - alla Prima della Scala, è nelle mani di poche centinaia di autonomi, violenti e provocatori (loro sì, esperti e organizzati), dei centri sociali. A tutti gli altri non resta che fare numero, massa per i cortei, coro per gli slogan - carne da cannone si sarebbe detto una volta con una immagine bellica, macabra ma efficace.
Tuttavia se teniamo conto di certi dati emersi da una nostra ricerca, le cose si chiariscono. A Milano gli iscritti ai partiti di sinistra con meno di 30 anni sono appena 600. Pochini, direi, questi famosi continuamente invocati «giovani», quelli incaricati - poveri loro! - del mitico «ricambio generazionale». Pare che siano 300 del Pd, 240 di Sinistra e libertà (Vendola) 50 comunisti, agli altri gli spiccioli. Più o meno. In altre parole: nei partiti di sinistra i giovani sono pochissimi. Quindi non può esserci alcun nesso, alcun riferimento fra questi pochissimi e quei realativamente molti che manifestano contro tuttto e tutti. Così si spiega la pericolosa impreparazione e immaturità e ingenuità politica di questi ultimi. Si spiega constatando che i partiti, dai quali i giovani si tengono lontani, non svolgono più quella funzione didattica ed educativa. Non insegnano più i fondamentali dell'impegno politico: come selezionare gli obbiettivi della «lotta» o, più modestamente, di una manifestazione, come evitare che altri conquistino l'egemonia di un movimento, come lasciare aperta una possibilità di dialogo senza chiudersi tutte le porte alle spalle, che la protesta fine a se stessa senza un obiettivo realistico è destinata alla sconfitta o all'esaurimento eccetera. Non abbiamo alcuna nostalgia dei partiti del secolo scorso: ideologici, organizzati, strutturati, disciplinati, radicati e diffusi nella società. Tuttavia, anche grazie a quella funzione didattica ed educatica, essi preparavano e selezionavano faticosamente e duramente un ceto politico, una classe dirigente (che poi, lo sappiamo, ebbe la gravissima e fatale responsabilità storica di chiudersi, diventando autoreferenziale, lavorando, cioè, principalmente per se stessa e i suoi partiti). Dunque a sinistra nessuno svolge più questa funzione educativa, didattica e dirigente, se non, forse, per quei 600. La cui attività militante temo che non vada molto oltre l'atto volontaristico dell'iscrizione.

Non c'è, perciò, da meravigliarsi se una piccola sciagurata dichiari serenamente al microfono del Tg3, che «l'obbiettivo della mia lotta è la caduta del governo Berlusconi». E, quel che è peggio, sia chi le porge il microfono sia la valorosa conduttrice in studio non scoppiano a ridere. Ma anche loro, nessuno li ha educati.

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