Il commento Il mondo ai piedi degli Usa, ma oggi non si cambia la storia

Il summit sulla sicurezza nucleare che si sta svolgendo a Washington è di straordinaria importanza. I rappresentanti di 47 Paesi si incontreranno per raggiungere accordi importanti, come mettere al sicuro entro quattro anni le armi nucleari che potrebbero finire in mano a terroristi di qualsiasi specie e provenienza, anche se soprattutto si pensa ad Al Qaida. Il vertice è stato voluto da Obama, e il presidente statunitense ne può andare fiero: indica la volontà di applicare una strategia planetaria a un problema così decisivo e delicato, con l’accordo di quanti più Stati possibile.
Sì, ma non esageriamo con i paragoni, che sembrano dettati più dall’ufficio stampa del presidente americano che dal senso della storia. In questi giorni si leggono e si sentono spesso i commenti di chi confronta la riunione di Washington con la conferenza internazionale che nel 1945, a San Francisco, portò alla nascita dell’Onu. È vero che si tratta dell’incontro internazionale più vasto mai organizzato da un presidente degli Stati Uniti negli ultimi 65 anni, ma il paragone non regge.
Infatti la nascita dell’Onu – pur con tutti i limiti e i problemi che l’organizzazione ha avuto, ha e avrà – è stato il più importante evento internazionale di pace di tutti i tempi; ha determinato la storia della seconda metà del Novecento e, per quanto in crisi, sarà ancora determinante nei prossimi anni, o decenni.
L’Onu oggi comprende la quasi totalità dei circa duecento Stati della Terra, e il preambolo del suo statuto afferma: «Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole...». Spesso, troppo spesso, la promessa del preambolo non è stata mantenuta; spesso, troppo spesso, i veti incrociati delle grandi potenze hanno paralizzato l’organizzazione internazionale; e troppo spesso interventi che dovevano essere risolutivi si sono conclusi in un fallimento, in una surreale impotenza di quei caschi assurdamente blu che dovrebbero rappresentare la volontà di quasi tutti i popoli del mondo.
Ma è comunque straordinario che quei popoli siano rappresentati nel Palazzo di Vetro con l’intenzione dichiarata di promuovere i diritti umani, la pace, lo sviluppo economico, sociale e culturale dell’intero globo. Spesso si tratta di belle intenzioni non rispettate, ma è pur vero che dall’Onu derivano l’Unicef, l’Unesco, il Consiglio dei diritti umani, l’Alto commissariato per i rifugiati, il Programma per l’ambiente e quello per lo sviluppo economico. Carrozzoni che a volte finiscono per alimentare solo se stessi, ma che indubbiamente ottengono dei risultati. Il principale è proprio nell’esistenza stessa dell’Onu, nella promessa di unire le volontà di tutti per il bene dell’umanità. L’affermazione del principio compensa, da sola, la frequente delusione per i risultati.
Il vertice di Washington ha un obiettivo importantissimo – ovvio – ma più limitato. Dopo avere firmato con la Russia, giovedì scorso a Praga, l'accordo Start 2 per la riduzione dei rispettivi arsenali nucleari, Obama intende alzare il livello di sicurezza contro il pericolo di possibili attentati nucleari, oltre che contro l’armamento di Corea del Nord e Iran. E, anche se pensa soprattutto alla sicurezza degli Stati Uniti, è chiaro che un attacco atomico sul territorio americano, o fra gli alleati, avrebbe disastrose ripercussioni mondiali. Si tratta di mettere «sotto chiave», entro i prossimi quattro anni, tutto il quantitativo conosciuto di plutonio e di uranio altamente arricchito.

Si pensi che nel pianeta esiste uranio arricchito sufficiente a produrre 120.000 bombe nucleari, e che ne bastano 55 chilogrammi per costruire un ordigno nucleare artigianale. Auguri a Washington.
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