Il commento Non basta la tessera del sindacato per gestire i quattrini

I giornalisti, per loro natura, dovrebbero essere i primi a scoprire le notizie. C’è da scommettere quindi che, alla relazione sulle perdite per qualche investimento avventuroso fatto dalla cassa dell’Inpgi, ne seguiranno molte altre, man mano che i vari fondi pensione gireranno tutte le loro carte. Il problema è semplice ma grosso ed è forse uno dei peggiori frutti avvelenati lasciati in eredità dal breve ma funesto governo Prodi: in pratica si è data la possibilità di giocare con i soldi dei lavoratori praticamente senza limiti né informazioni degne di questo nome. Il tutto per bruciare le tappe di un’ordinata transizione e mettere le mani prima possibile sui contributi e sui fondi del Tfr. Guarda caso l’ex ministro Cesare Damiano, che pestò i pugni per anticipare la riforma, fu fondatore e presidente di un fondo di categoria (il «Cometa» dei metalmeccanici) e ben capiva il ritorno in termini di denaro e potere che si poteva ottenere dalla previdenza complementare, con ricchi fondi nella gestione dei quali i sindacati potevano dire la loro, per tacere dei fondi separati presso l’Inps, misteriosamente classificati come entrate spendibili dallo Stato. Damiano e Prodi, in ogni caso, furono dei maghi: riuscirono a far entrare in vigore la riforma proprio nell’estate del 2007, con i mercati ai massimi e un secondo prima che tutto cominciasse a sfaldarsi per la crisi.
Il deficit culturale finanziario italiano non parte comunque solo dalla riforma del Tfr, le radici sono lontane (alcuni fondi sono attivi da molti anni) quanto vicini sono gli effetti: anche all’estero si sono persi soldi nei fondi pensione, probabilmente molto più che da noi, però un conto è perdere consapevoli dei rischi (come è accaduto in Paesi dove i fondi esistono da tempo), un altro è sbattere la testa contro rendimenti che per tradizione si supponevano bassi ma certi, per poi accorgersi che la realtà era differente. Difficile in questi casi scrollarsi di dosso la rabbia e il sospetto della truffa. Il fatto è che comitati di gestione, spesso improvvisati o con membri eletti tra i lavoratori con i soliti metodi sindacali, hanno mano libera per investire i fondi a disposizione come meglio gli aggrada, compresi hedge fund di cui si sa poco o nulla. Questi fondi speculativi «hedge» possono essere eccellenti strumenti di investimento ma solo a patto di conoscere bene la serietà e la storia del gestore: altrimenti con il sentito dire si punta solo alla roulette. Il mix tra comitato di gestione composto a casaccio e possibilità di fargli scegliere investimenti sofisticati e volatili è tossico: un po’ come un bambino libero di giocare con i coltelli da cucina. Lo strumento non è cattivo in sé, ma l’uso imprudente sì.
La prova è che, una volta scottati, molti pseudogestori di questi fondi aziendali stanno vendendo tutti i titoli «rischiosi» per riposizionare quello che resta dei soldi in attività prive di rendimento: tutto il contrario quindi di quello che si dovrebbe fare, si compra sui massimi e si mettono gli avanzi sotto il materasso quando invece sarebbe conveniente comperare.

Un suggerimento al ministro Mariastella Gelmini: si introduca bene economia nelle scuole, nel lungo periodo non se ne pentirà nessuno. Nel frattempo, si faccia capire a tutti quali sono i rischi e si controlli bene se chi gestisce denari abbia le qualifiche per farlo: la tessera di un sindacato non è un titolo sufficiente.

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