di Alain de Benoist
Preparate male, condotte male, senza chiarezza sugli obiettivi strategici a lungo termine, le operazioni militari in Libia hanno subito suscitato velate reticenze o critiche aperte, che appaiono perfettamente giustificate. La Germania non è favorevole, la Cina e la Russia sono contrarie, e così pure la maggior parte dei Paesi arabi. Eppure, le operazioni militari continuano. Così vuole Nicolas Sarkozy che ne sta facendo la sua piccola crociata personale. Ma perché?
Due sono le ipotesi citate più citate.
La prima è che Sarkozy speri in questo modo di far risalire la sua popolarità, oggi ai minimi: all'inizio di marzo, il presidente francese otteneva soltanto il 22% di opinioni favorevoli, mentre tre quarti dei francesi gli erano ostili. Un conflitto armato in grado di conferirgli un'autorità regale, potrebbe avere degli effetti positivi sull'elettorato.
La seconda ipotesi è che, lanciandosi in un'avventura militare a sostegno dell'insurrezione armata contro il colonnello Gheddafi, il presidente francese speri di far dimenticare il suo comportamento, quanto meno equivoco, dimostrato durante le insurrezioni popolari in Tunisia e in Egitto. Cercherebbe di compensare il tiepido sostegno manifestato dalla diplomazia francese quando le folle egiziane e tunisine erano scese in piazza per sbarazzarsi rispettivamente di Mubarak e di Ben Ali, due dittatori che la Francia ha sempre sostenuto.
Tuttavia, entrambe le speranze rischiano di essere deluse. Innanzitutto è poco probabile che i francesi, già a stragrande maggioranza contrari alla presenza di soldati in Afghanistan, siano disposti a dar credito a Sarkozy in questa nuova missione militare, specialmente se dovesse trascinarsi nel tempo: più a lungo dura il conflitto e più rischia di degenerare e più l'opinione pubblica manifesterà la propria ostilità. Ci sono inoltre tutti i motivi per pensare che, agli occhi dei francesi, il presidente anziché «proteggere le popolazioni civili della Libia» o correre in soccorso delle rivoluzioni arabe con costose operazioni militari, debba pensare innanzitutto a proteggere i propri concittadini dai mali che li affliggono: il malessere sociale provocato dall'immigrazione, l'aumento della disoccupazione, la diminuzione del potere di acquisto.
I francesi, peraltro, non hanno probabilmente dimenticato che, nel dicembre 2007, Nicolas Sarkozy aveva ricevuto a Parigi, con tutti gli onori, quello stesso colonnello Gheddafi che oggi denuncia come «una persona orribile» e come un tiranno. Se Gheddafi era davvero impresentabile, perché lo ha frequentato tanto? E che senso aveva cercare di vendergli forniture militari se oggi lo stesso Sarkozy si prodiga a distruggerle?
Si sa come iniziano le guerre, non si sa mai come finiscono, né in cosa rischiano di sfociare. Oggi siamo di fronte a numerose incertezze. Che cosa si vuole fare esattamente in Libia? Sostenere un "Consiglio nazionale di transizione", di cui nessuno conosce la composizione né, soprattutto, le intenzioni? Aiutare i ribelli a conquistare il potere? Costringere Gheddafi ad andarsene? Spaccare il Paese in due, instaurando una divisione fra la Cirenaica e la Tripolitania? Ricostruire lo Stato libico adattandolo ai canoni della globalizzazione liberale? E come essere sicuri che l'intervento aereo non richiederà, prima o poi, di essere seguìto da un intervento a terra? Nessuna dittatura è mai caduta in seguito a una campagna di attacchi aerei! E che cosa succederà, infine, se il nuovo governo libico si rivelasse troppo islamista, o addirittura jihadista, e si rifiutasse di limitare i flussi migratori?
Sarkozy si è impegnato con leggerezza in un ambito grave, quello della guerra.
C'è anche una terza ipotesi: che il presidente francese - il gremlin dell'Eliseo - sia diventato completamente pazzo.
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