Il commento Quei temi politici distorti dai media

Il Papa si era posto l’obiettivo durante il suo viaggio in Terra Santa di volare alto sopra i conflitti regionali: Gerusalemme è sempre accompagnata nei Salmi da invocazioni di pace, e il Papa sperava che il suo viaggio aiutasse la concordia; il vento del luogo, metà arso dal deserto, metà fresco di pini, ha, nei secoli, soffiato sul viso di Cristo e dei profeti; la sua dimensione terrestre sconfina in quella celeste; là è nato il monoteismo che le tre religioni si contendono, e a Benedetto XVI interessava un messaggio per lo spirito di tutti: unità, pace, lotta contro la violenza e la sofferenza dei poveri. Ma proprio il cercare di evitare gli spigoli politici ha fatto sì che essi diventassero il coro quotidiano di tutti, media, tv, radio, giornali, compresi i nostri. Così il viaggio papale ne è uscito stropicciato. Molti dei suoi temi sono poi risultati sui media parte del più abusato schema di colpevolizzazione di Israele. Il tema Shoah non c’entra: ha avuto un impatto un po’ controverso, ma a noi sembra che là il Papa non abbia dato adito a veri equivoci sul negazionismo. L’obbrobrio è stato condannato. Ma la politica è un’altra storia. Il cosiddetto muro, le sofferenze dei campi profughi, i “due Stati per due popoli”, la sofferenza dei cristiani... Tutto questo ha dato il via a una saga di titoloni antisraeliani nella più pura tradizione tv-giornalistica europea. Per esempio, se parlando del muro Benedetto intendeva che le barriere fra esseri umani sono da abbattere, l’altoparlante dei media ha rilanciato un messaggio di denigrazione di Israele: il muro di divisione (che come tutti sanno non esiste come tale, se non in tratti brevissimi, il 3 per cento, e c’è invece una barriera di filo spinato), hanno interpretato la tv e la stampa, è un obbrobrio morale (mentre non lo è affatto, perché è servito a evitare il 98 per cento del terrorismo suicida che ha fatto più di 2000 morti in tre anni) e va abbattuto (invece, guai a farlo, specie a Betlemme, una delle città più attive nel terrore: supermarket, autobus, tutto esploderebbe ancora). La questione dei campi profughi: il Papa ha indicato la sofferenza umana di chi ci vive, ma i campi profughi sono là dal 1948 o dal ’67; ormai ospitano i pronipoti dei profughi veri, e l’Onu lascia che vi si alimenti un’ideologia di odio che si trasforma in sogni di distruzione. Il Papa ha saputo parlare della tentazione della violenza per i giovani, e più avanti dell’educazione all’odio dei bambini. Ma si sa bene che i bimbi cristiani o ebrei non vengono indottrinati alla violenza: le vittime della cultura dell’odio sono i piccoli telespettatori, gli alunni delle scuole e delle madrasse del mondo islamista. Invece, si è giocato sull’ambiguità. Un altro punto importante: il Papa lamenta la diminuzione dei cristiani d’Oriente e del pericolo che corrono. Ma i cristiani d’Israele invece sono aumentati dal 1948 del 250 per cento, da 34mila a oltre 150mila. Tutto il resto è ombra e persecuzione, specie a Gaza. Infine: non sarebbe davvero stato male se le tv di tutto il mondo avessero almeno potuto identificare nel viaggio la preoccupazione per la crescita dell’odio antioccidentale che si sostanzia nella continua minaccia a Israele da parte iraniana.

Benedetto ha citato le sofferenze di Gaza, ma, hanno notato gli israeliani, non ha citato Sderot, colpita da 9000 razzi palestinesi, o le famiglie delle vittime del terrorismo. La parola sofferenza, così importante per il cristianesimo, è rimasta, per il mondo attuale, confinata alla condizione palestinese.

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