Politica

Il commento Quella faida tra Prodi e D’Alema che ha lasciato solo macerie

Il rinvio a giudizio di Antonio Fazio e quello di Giovanni Consorte non mi rendono allegro. È interessante prendersela con i potenti (e con Fazio ho polemizzato quando era nella pienezza dei poteri e ritornava sonori ceffoni a chi lo criticava) e non con chi è caduto. È inevitabile, poi, notare come certi reati connessi al mondo finanziario appaiono essere contestati solo a chi non è ben protetto. Il che in parte è inevitabile, anche per evitare disastri in un sistema bancario che nasce con Giuliano Amato nel 1992 in una consistente confusione tra pubblico (vedi fondazioni) e privato (proprietà formale delle nuove banche). In cui l’influenza della politica non è forse inferiore a quella esercitata nella Prima Repubblica ma senza dubbio è più opaca. Certo, in molte situazioni negli anni più recenti è sembrato che fossero più le banche a comandare ai partiti che viceversa (come avveniva fino agli anni Novanta in Italia). Ma questo andazzo non migliorava certo la situazione.

Scontate queste considerazioni, va ricordato che quando si parla di Fazio si discute di un tecnico di altissimo valore, non pienamente dotato - come si è constatato - delle qualità per essere un buon governatore ma comunque economista prestigioso, intellettuale dai larghi interessi e uomo personalmente probo. Lo stesso Consorte, d’altro canto. è colui che negli anni Novanta ha salvato le imprese di costruzione della Lega cooperative che senza le cure dell’amministratore delegato dell’Unipol sarebbero fallite l’una via l’altra. Il che magari per diverse persone può non essere un grande merito ma comunque è un fatto. Forse il personaggio più inquietante della vicenda Bnl in questione, che non è rinviato a giudizio perché ha patteggiato una modesta pena, è Gianpiero Fiorani, spericolato scorridore di avventure bancarie su cui Fazio ha chiuso tutti e due gli occhi.

La storia a cui è legato il prossimo processo a Fazio e Consorte riguarda la scalata della romana Banca nazionale del lavoro in cui i due (più Fiorani) hanno combinato senza dubbio un bel po’ di pasticci, peraltro coadiuvati da quegli altri pasticcioni del gruppo dirigente dei Ds (il Piero Fassino di «Abbiamo una banca» e il Massimo D’Alema di «Faccio un tifo da stadio») colpevoli non solo di avere avuto atteggiamenti assolutamente non trasparenti ma di non essere neanche stati in grado di difendere la loro iniziativa quando Romano Prodi e Francesco Rutelli cominciarono a bombardarla.
Senza dubbio Fazio, al di là delle responsabilità penali di cui risponde in tribunale, ha avuto in tutta la vicenda un comportamento che andava oltre le facoltà di un governatore di Banca d’Italia. Peraltro l’aveva avuto nel 2003 e nel 2004 quando faceva la guerra a Giulio Tremonti (costretto alle dimissioni nel luglio del 2004) tra il plauso della stampa che poi lo crocifiggerà nel 2005. Se si leggono ora i commenti alla vicenda Bnl, l’apologia alla AbnAmro che avrebbe portato la Antonveneta alla ribalta internazionale, la Bnp Paribas che avrebbe fatto della Bnl una banca perfetta, portando sollievo ai correntisti. Se si vede dove sono finiti i magnifici banchieri olandesi, comprati mentre erano allo sbando da Rbs, Santander e Fortis. Se si considera l’investimento sproporzionato di Monte dei Paschi per comprarsi Antonveneta dal Santander (9 miliardi di euro che hanno fatto boccheggiare la banca senese). Se si compara il furbetto del quartierino Stefano Ricucci ai guai combinati dal cocco di Intesa Sanpaolo, Luigi Zunino. Se si sovrappongono le vicende di un altro «coinvolto» come Emilio Chicco Gnutti a quelle di Romain Zaleski. Se si pesa il bancocentrismo applicato da Prodi con il suo breve governo ai pasticciacci bancari in salsa dalemiana, verrebbe quasi da invocare l’assoluzione di Fazio per avere commesso il fatto ma insieme a tutti gli altri. Ma lasciamo la nostra un po’ malmessa giustizia a fare il suo corso.

E dedichiamoci invece ad aprire il sistema bancario in modo che, imparate le lezioni di Bnl e Antonveneta, gli istituti (e i governatori di Bankitalia che dovrebbero sorvegliarli) a cui affidiamo i risparmi si occupino di finanziare la nostra produzione industriale piuttosto che il loro potere politico.

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