Il commento La retorica del pacifismo non è mai neutra e innocua

La morte di un soldato non è un fatto scontato, anche se non può essere completamente esclusa dalle regole di ingaggio (termine più adatto al calciomercato) e dai rischi intrinseci alla guerra, attraverso la quale passa purtroppo spesso la difesa della pace. Già gli antichi romani lo sapevano: «Si vis pacem para bellum», «se vuoi la pace preparati alla guerra».
Inutile nascondersi dietro all'ipocrisia: la violenza armata del fondamentalismo islamico dei talebani non può essere fronteggiata soltanto con le viole mammole, né con chiaroscuri umanitari stile Emergency. Ma la questione è più ampia. La parola guerra, bandita da tutti i vocabolari e stigmatizzata persino dalla «santificata» Costituzione italiana, quale identità morale lascia al legittimo, ora oscuro, ora glorioso, ma comunque ineludibile, «mestiere delle armi»?
Questa volta poi viene colpita una brigata dalle tradizioni gloriose, la «Taurinense» come la città da cui hanno notoriamente origine le truppe alpine, tenaci e fedeli. Come dimenticare che l'unità d'Italia fu resa possibile dalla coraggiosa lungimiranza europea del Cavour di mandare bersaglieri in una Crimea che sembrava, a una provinciale Italietta, lontana come la luna? Difficilmente la piccola (ma non troppo), Italia, potrà continuare a rimanere nel consesso dei dieci Paesi che più contano al mondo, senza un coraggio simile. Per questo occorre il sacrificio di tutti. Quello dei suoi figli militari che con una gloria silenziosa danno la vita. Ma anche quello di chi non deve, ogni qualvolta una tragedia accade, preoccuparsi solo di aprire la bocca per dire sciocchezze pseudoumanitarie e piene di buon senso ottuso e di una carità pelosissima.
La pace è un bene soprattutto perché si basa sul profondo rispetto della vita umana, che è un valore non negoziabile. Il finto pacifismo di chi pensa soltanto a cedere a qualsiasi violenza, rinunciando anche a difendere i deboli, deve sempre ricordare come sarebbe stata l'Europa dopo il nazismo, se uomini come Churchill e Roosevelt avessero rinunciato a resistere caparbiamente in armi.
E il fondamentalismo armato non è poi tanto diverso dal nazismo. Il pacifismo, che rappresenta nella nostra cultura un sacrosanto valore in sé, non può prescindere dall'uso legittimo della forza, di cui da sempre gli Stati Sovrani hanno il monopolio e il controllo. Se così non fosse la mafia, anti-Stato per eccellenza, avrebbe vinto da sempre. Aveva certamente ragione Papa Benedetto XV a definire le trincee della prima Guerra Mondiale un’inutile strage. Ma senza il sacrificio dei fanti sul Piave, gli elmetti col chiodo delle armate tedesche guglielmine sarebbero ritornati a Venezia e forse a Milano, e non per fare turismo.
Per questo è sancita dal Diritto internazionale una legge e un'etica della guerra. Fa un po’ sorridere quindi che, come se fosse un'operazione dei vigili urbani o della stradale, se un soldato muore in battaglia, la Procura della Repubblica competente apra il fascicolo per un'indagine. Chissà quanti avrebbero dovuto essercene al Palais de Justice di Parigi per gli ottocentomila caduti sulla Marna, o alla Procura di Verona per le centinaia di migliaia di morti sul Grappa o sul Montello.
La retorica del pacifismo non è comunque mai neutra e innocua. Il muro di Berlino è caduto non solo per la volontà di popoli oppressi, ma anche per la caparbia determinazione di uomini che, al di là della cortina di ferro, sostenevano un duro e fermo confronto, come Ronald Reagan. O alimentavano con coraggio le pacifiche armate di Solidarnosc, come nella profetica testimonianza di papa Wojtyla. Gandhi piegò l'impero britannico con la non violenza, ma non con un pacifismo pavido, rinunciatario e imbelle.


Vi sono momenti nella storia dei popoli e delle civiltà in cui giustizia e forza, contrapposte alla sopraffazione e all'arbitrio verso i più deboli, come lo sono le donne afghane escluse dall'istruzione a bastonate e calci nel culo dai talebani, è un atto di liberazione, ma in definitiva anche di amore per la vita. Un amore che solo chi è disposto a dare la propria per un valore universale può comprendere.

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