Il commento Ritratto di famiglia un giorno di mercato

di Massimiliano Lussana

A tratti, forse, sembro quasi monomaniacale con questa storia della «famiglia del Giornale». Lo ripeto spesso e volentieri, prima e dopo i pasti. Ma lo ripeto perchè ci credo e perchè non perdete mai l’occasione per dimostrarci che il nostro non è uno slogan campato per aria o una facile frasettina per carpire la benevolenza, ma che è proprio così, che è proprio vero.
Le 153 (centocinquantatre!) telefonate e mail arrivate in redazione il giorno che la cronaca di Genova e della Liguria non è andata in edicola per un guasto alle rotative, sono state la miglior consolazione per il lavoro di un giorno buttato nel cestino. E devo dire che, persino il giorno di riposo, ha un altro sapore grazie a voi. Ottima cura anche nei confronti di maleducati e prepotenti che pretendono spazi convinti di essere gli unici detentori della verità.
Martedì mattina ero al mercato di Quinto - faccio la spesa al mercato rionale e mi sposto in autobus o in treno, è l’unico modo in cui so vivere e anche l’unico modo in cui so fare il giornalista - e persino i cartellini dei prezzi mi sono andati meno di traverso del solito. Merito del sorriso con cui vi siete avvicinati in cinque per chiedere timidamente: «È il dottor Lussana, lei?», facendomi tremare per un attimo pensando all’ipotesi di avere debiti in giro. Il debito non l’avevo. Ce l’ho ora. Ed è di gratitudine verso di voi. Verso chi si è presentato dicendo: «Sono il marito della Rosanna», «Sono il papà di Marco», «Sono Pittaluga, ho telefonato in redazione una volta», «Sono una sua fedelissima lettrice». Il marito, la mamma, il papà, proprio come si fa in una famiglia.
E sapete la cosa bella? Che quegli «andate avanti così», quei «paghiamo volentieri venti centesimi in più per un Giornale come quello che state facendo», quei «l’aumento è una botta, siamo pensionati, ma taglieremo sul caffè, non sul Giornale», quei «non mollate», quei «grazie!» con l’esclamativo che si legge negli occhi, sono qualcosa di unico, che mi sono portato a casa insieme alle borse piene di carne, di frutta e di pane. Come un sacchetto in più: di commozione e di gratitudine per fare questo mestiere, per farlo in questo Giornale e per farlo con lettori così.
Soprattutto, mi ha fatto piacere l’affetto che dimostrate - oltre che nei miei confronti, di cui ovviamente vi ringrazio - anche per il direttore Mario Giordano. «Me lo saluti», «gli dica che è un grande», «fa un Giornale bellissimo». Proprio come in famiglia: «Mi saluti a casa...».
Insomma, mai ho fatto la spesa così volentieri.

E poi, anche in redazione, le telefonate di Roberta Simonazzi e di Sara Castiglioni, la dolcezza poetica con cui ci scrive Irma Actis, l’affetto della critica di Sergio Crocco e dei suoi amici sull’eccessiva benevolenza nei confronti di alcuni esponenti della sinistra, il fantastico «da sempre e per sempre suo lettore» di Adolfo D’Alessandro, il giusto richiamo di Gian Giacobbi a molti esponenti del Pdl che non dimenticano mai di chiedere spazi ma dimenticano di comprare il Giornale, la telefonata di incoraggiamento di fronte a una lettera di critica (pubblicata come tutte quelle che sono arrivate) da parte del professor Odello, persona straordinaria, forse il ginecologo che ha fatto nascere più bambini a Genova: «Vada avanti così. Abbiamo sempre bisogno di onestà intellettuale».
In quel momento, il professor Odello, ha fatto (ri)nascere anche me.
A tutti, solo grazie.

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