Il commento Se lo sport diventa uno spot

Scusate, ma ci scappa da ridere. E non per i piloti in armatura costretti a deambulare in mezzo alle pozze e non ai pozzi del Qatar. Ci scappa da ridere pensando all’emiro Bin qualcosa che sotto il diluvio ha sudato freddo temendo che il Gran premio by night fortissimamente voluto saltasse direttamente all’anno prossimo o addirittura a mai più. Ci scappa da ridere ricordando che domenica la classe 125 è stata ridotta a quattro giri per uragano nel deserto; ci scappa da ridere rammentando che la 250 è stata accorciata a tredici giri; ci scappa da ridere perché a un niente dal via dell’attesissimo duello Stoner-Rossi è scappato da piangere al Dio dello sport che ha riversato tutta la sua tristezza inondando la pista di Losail di gocce grandi come non mai.
La verità è che il Dio dello sport si sta stancando, non ha nessuna voglia di trasformarsi in un dio dello spot, dell’audience a tutti i costi che accende fari nel deserto, che sposta gare all’imbrunire, che s’ubriaca di inutili trovate. Perché ha ragione Valentino quando dice «bisogna chiarire una volta per tutte se conta di più lo sport o lo show», perché quando la velocità è molta non si gioca con le previsioni del tempo e la luce e la vita di gente seria che ha il suo da fare nel controllare moto e auto. Già, le auto.

Come se non ci fosse stata la triste prima visione malese della prima domenica di aprile, con le formula 1 parcheggiate a bordo pista in uno sfavillare di ombrelli e miliardari inzuppati. La verità è che il Dio dello sport ci sta avvertendo, diamogli retta e anche alla svelta.

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