Commento Se vuole sfondare Bossi torni all’autonomismo

di Gilberto Oneto

In democrazia si vince e si governa anche con lo scarto di un solo voto ma è saggio fare attenzione ai numeri perché sono i semi delle future evoluzioni.
Le evidenze riguardano l’astensione, la tenuta della coalizione di governo, i suoi rapporti interni e la vittoria leghista.
L’astensione sfalsa tutte le percentuali e trasforma le elezioni da una gara fra chi ottiene più consensi a chi ne perde di meno.
Dalle Europee il Pdl ha perso solo nelle regioni padane ben 1.252.853 voti e cioè il 28,6% del suo bottino: in un anno quasi un terzo dei suoi elettori. La Lega ha perso invece «solo» 166.541 voti, e cioè il 6,1%. Tutti gli altri hanno fatto molto peggio.
Questo ha modificato il rapporto di forza a destra: lo scorso anno esso era di 61,5 contro 38,5, oggi è 54,9 a 45,1: 60 a 40 a favore del Pdl in Piemonte, 55 a 45 in Lombardia, 41 a 59 in Veneto, 74 a 26 in Liguria e 64 a 36 in Emilia. Il sorpasso è avvenuto in Veneto ma anche in quasi tutte le province della Lombardia e del Piemonte: il Pdl è davanti solo nei grandi agglomerati urbani.
È piuttosto evidente che - al di là della mestizia dei numeri - sia la Lega il vincitore effettivo e non solo «percepito». Ne esce però anche un partito piuttosto diversificato sul territorio. In numeri assoluti e non percentuali essa è cresciuta nell’ultimo anno solo in Emilia (più 3,2%), è calata di pochissimo in Veneto (meno 0,05%), un po’ di più in Lombardia (8,5%) e Liguria (9,1%) e ha subito una flessione significativa in Piemonte, dove ha perso dalle Europee il 15,8% dei suoi consensi. Emergono almeno due diversi modi di «essere Lega» che possono essere per semplicità ricondotti ai candidati del Veneto e del Piemonte. Zaia ha vinto bene e facilmente guidando una Lega ben salda nei suoi cavalli di battaglia: liberismo e contenimento dell’immigrazione ma - anche e soprattutto - identità territoriale, autonomia spinta e ambientalismo «serio». Cota ha faticato molto pur contro un avversario vetero-comunista di scarso appeal: è parso poco energico e ha fatto alcune scelte incomprensibili come la difesa della Tav, su cui la Lega era invece sempre stata critica, e non ha saputo coinvolgere il mondo autonomista «minore» occitano, valdese e franco-provenzale: voti che avrebbero fatto la differenza. Non si deve dimenticare che l’autonomismo moderno è nato in Piemonte prima che in Veneto, con il Marp e l’Uopa, e che le sue idee sono ancora radicate nella provincia profonda. Su questo in Piemonte si dovrà lavorare molto per raggiungere risultati «veneti».
Sia pur a macchia di leopardo, la Lega ha aggiunto il nuovo astensionismo a quello «storico» del 2001, quando aveva perso due terzi dei suoi elettori a vantaggio del non-voto. Il leghismo è come una droga: una volta provato non si possono votare altri partiti e si vive una continua crisi di astinenza. Nonostante i suoi attuali successi e i consensi raccolti fra gli elettori delusi sia di destra che di sinistra sui temi dell’immigrazione, della sicurezza e del lavoro, la Lega non ha però più raggiunto i numeri del 1996. Se essa riuscisse a recuperare «anche» i vecchi elettori, i suoi numeri diventerebbero davvero una valanga.
Per farlo deve però costruire riforme federali vere e non virtuali, deve mostrare risultati concreti forzando la riluttanza dei suoi alleati, deve tornare a un forte identitarismo territoriale, risollevare i temi dell’autodeterminazione magari approfittando del 150° dell’unità. Deve insomma «istituzionalizzare» il modello veneto recuperando le forze e le idee che l’hanno vista nascere e crescere.
Oggi solo la cultura federalista e autonomista è in grado di produrre e sostenere politiche innovative e vincenti: per farlo serve una forza nuova o che la Lega si resetti rapidamente e radicalmente.


Non a caso Bossi ha smorzato gli entusiasmi della notte elettorale parlando di «fortuna» della Lega, intendendo dire che il partito è stato favorito dagli errori degli avversari e degli alleati. La fortuna e il tempo però non sono infiniti: Bossi lo sa benissimo e si deve inventare qualcosa.

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