Il 30 ottobre di due anni fa Nicolae Mailat, un balordo che viveva in un campo rom alla periferia di Roma, decise che poteva concludere la sua serata approfittando di una donna indifesa, stuprandola e derubandola. Ma per lui non era abbastanza: la seviziò e finì a bastonate. Si scatenò unondata di rabbia in tutta Italia, una rabbia che chiedeva di essere placata con la giustizia.
La sentenza arrivò un anno dopo, ma la giustizia, a nostro parere, è arrivata soltanto ieri. Commentando le motivazioni della condanna a 29 anni di Mailat, Maria Giovanna Maglie sul «Giornale» criticò con forza quel verdetto, non tanto per lammontare della pena, quanto per le sconcertanti parole usate dai giudici per concedere le attenuanti a Mailat. Eccole, vanno lette integralmente per capire il perché delle critiche: «La Corte pur valutando la scelleratezza e lodiosità del fatto commesso in danno di una donna inerme e da un certo momento in poi esanime, con violenza inaudita, non può non rilevare che sia lomicidio che la violenza sessuale, limitata alla parziale spoliazione della vittima e ai connessi toccamenti, sono scaturiti del tutto occasionalmente dalla combinazione di due fattori contingenti: lo stato di completa ubriachezza e di ira per un violento litigio sostenuto dallimputato e la fiera resistenza della vittima. In assenza degli stessi, lepisodio criminoso, con tutta probabilità, avrebbe avuto conseguenze assai meno gravi». Come dire che Giovanna Reggiani un po se lera cercata.
La polemica del «Giornale» contro questa logica inaccettabile ha provocato reazioni durissime da parte dei giudici che hanno preso quella decisione.
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