Il commento Teniamoli in carcere e buttiamo via la chiave

Per ora tutto bene. I diciamo pure presunti terroristi provenienti da Guantanamo, i tunisini Riad Nasri e Adel Ben Mabrouk, sono rinchiusi in un carcere milanese, hanno parlato con l'avvocato e almeno uno di loro è stato interrogato dal giudice per l'istruzione preliminare. Tutto bene e tutto regolare. Sui due pendevano una sfilza di accuse emesse dalla giustizia italiana per reati aggravati dalla finalità di terrorismo e commessi in parte in casa nostra, che è quel che conta. Essendosela squagliata in tempo, i due erano considerati latitanti e a fermarli furono gli americani, in Afghanistan. Riad Nasri e Adel Ben Mabrouk devono dunque rispondere alla giustizia italiana: non sono ospiti, non sono in trasferta. Gli aspetta, qui, un processo.
La loro detenzione è un favore che il governo ha fatto all'amministrazione americana e, al tempo stesso, ai pacifisti, alle associazioni umanitarie e bel mondo liberal che tuona contro l'inumano regime carcerario di Guantanamo, dove da sette anni languiscono poveri diavoli colpevoli solo d'aver combattuto per un ideale. Un gulag che nel corso della campagna presidenziale Obama s'impegnò a chiudere un istante dopo aver varcato la soglia della Casa Bianca. E che è ancora lì, solo alleggerito dai due detenuti tunisini che ora, a sentire i cronisti che Guantanamo l'hanno vista coi loro occhi, stante le condizioni delle carceri italiane forse rimpiangeranno il sole a scacchi cubano. Sempre che, grazie a un classico colpo all'italiana, non tornino subito a piede libero (e i loro piedi sono veloci, lesti a raggiungere Paesi o regimi amici).
L'ideuzza della quale si va parlando può contare su qualche apprezzabile precedente - uno per tutti: il caso di Silvia Baraldini - e pare abbia non pochi sponsor sia nel Palazzo, sia nelle file della così detta società civile. Si tratterebbe di questo: mettere gli anni trascorsi da Riad Nasri e Adel Ben Mabrouk a Guantanamo in conto custodia cautelare (che per il nostro Codice può anche essere subita all'estero). Essendo ovviamente scaduti i termini, firmate due carte, ritirati gli effetti personali i due tunisini potrebbero dunque uscir di galera, liberi di tornare alle loro attività bombarole in attesa che l'autorità giudiziaria metta loro il sale sulla coda. Se mai accadesse un fatto del genere, se si finisse per non considerare la detenzione nella base militare di Guantanamo come «stato di guerra» e dunque non conteggiabile come detenzione preventiva, agli occhi del mondo l'immagine dell'Italia subirebbe un duro e forse definitivo colpo. Gli anglosassoni rispolvererebbero il verbo «to badogliate», che vale «badogliare», con riferimento a Badoglio e fino all'ultimo dei satrapi scalzacani d'Africa, gli uomini di governo dell'intero pianeta, un compiaciuto, sorridente Ahmadinejad compreso, ci metterebbero nella lista nera dei Paesi inaffidabili. Peggio: irresponsabili.

In un certo ambiente politico e intellettuale la tentazione del gesto clamoroso, scarcerare Riad Nasri e Adel Ben Mabrouk e dunque metaforicamente liberare la Bastiglia di Guantanamo è forte, su questo non ci piove. Assecondare le loro fregole sanculotte vorrebbe dire, per usare una parola poco elegante ma ricorrente di questi tempi, sputtanare per sempre l'Italia e gli italiani.

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