Il commento Troppe concessioni dalla Casa Bianca

Dovrebbe andarci più piano, dar segno di capire che la posta in gioco non è la sua popolarità. Invece Obama sembra incamminarsi sulla via del Cairo innamorato della sua stessa bontà, delle sue parole innovatrici, a tutto gas ancora prima di aver guardato negli occhi un mondo cui spesso la cortesia appare debolezza. Il presidente sembra in queste ore essere alla ricerca di consensi preventivi, plateali, le sue parole prima della partenza sembrano ripetere quello strano gesto di profonda riverenza nei confronti del re saudita che lasciò anche i suoi più grandi ammiratori stupefatti.
Obama si è espresso contro il pericolo di cercare di imporre la «nostra cultura» a chi ha «storia e cultura diversi». Pericoloso, difficile può esserlo. Certo però quando Obama specifica e dice che «la democrazia, lo stato di diritto, la libertà di espressione, la libertà di culto, non solo valori propri dell’Occidente ma sono valori universali» e quindi insiti anche nelle culture non occidentali, viene da ridere per la (speriamo voluta) ingenuità dell’affermazione, in cui si avverte o superficialità o cinismo; soprattutto essa fa compiangere i dissidenti, i condannati a morte, le donne oppresse, quelle torturate con mutilazioni genitali, gli omosessuali perseguitati. Si appanna l’America che ha sempre cercato di salvare gli oppressi, dall’Europa sotto il nazismo, all’Urss, all’Irak. Sembra ritirarsi dalla grande gara mondiale per istaurare la libertà. Obama ha dichiarato semplicemente che vorrà servire da esempio passivo, e ignora che invece l’Islam per esempio, si vede come esempio estremamente, aggressivamente attivo, in fase di espansione. Sembra che la visione da lui più volte espressa dell’Occidente come di un mondo sostanzialmente oppressivo, che deve fare ammenda e quindi essere trasceso, sia vincente nelle sue esternazioni.
Alla vigilia della partenza per il Cairo, Obama ha chiesto alle sue ambasciate di invitare i diplomatici iraniani alla festa del 4 di luglio. Una notevole concessione senza contropartita al Paese più minaccioso del mondo, uno che alla nostra cultura guarda con disprezzo mentre viola i diritti umani e prepara la bomba. Gli Usa serviranno all’Iran da esempio? Ne dubitiamo.
Un altro punto molto importante: Obama parte verso il mondo arabo dopo aver approfondito il divario con Israele. Parte dopo che alcune voci provenienti dalla Casa Bianca, poi smentite, riferivano che gli Usa avrebbero smesso di appoggiare Israele all’Onu usando il diritto di veto. Ma nel suo viaggio c’è già una pecca d’origine: la scelta di affrontare il medio Oriente senza una tappa in Israele. Va a trovare i Paesi arabi moderati sunniti scindendo così il nesso fra la loro buona volontà per un futuro di pace per il Medio Oriente dal rapporto naturale, di contiguità con Israele. Così, darà forza a chi rovescia tutte le colpe e le responsabilità su Israele, rimandando i problemi della democrazia, delle responsabilità. Infatti una gran levata di scudi antisraeliana che l’Egitto, per esempio, non si sognava da tempo, segna la visita. Obama ha avuto cura, proprio alla vigilia della partenza di usare molte parole dure: ha detto a Israele che «parte dell’amicizia è essere onesti... e oggi la corrente traiettoria nella regione è profondamente negativa non solo per gli interessi israeliani ma anche per quelli americani. Gli Usa, insomma, saranno duri con voi. Ho già detto che Netanyahu deve congelare ora tutte le costruzioni negli insediamenti e bloccare anche la crescita naturale. Datevi da fare». Qui Obama strappa gli applausi al mondo arabo, mentre sa (speriamo) che gli insediamenti, 500mila persone, sono un difficile, lungo percorso in cui le garanzie arabe sono molto diverse da quelle attuali.

Lo dicono tutte le risoluzioni dell’Onu e i vari accordi sempre rigettati dai palestinesi (quello di Oslo, quello con Olmert e Livni): sono il punto di arrivo della trattativa, dopo che i palestinesi accettino la fine della violenza e accettino uno stato ebraico, senza ritorno dei profughi, su cui invece si hanno due bei «no» da Abu Mazen.
La sensazione è che la gran macchina pubblicitaria del viaggio macini insediamenti e ottimi rapporti col mondo arabo moderato a spese di Israele per coprire la difficoltà di affrontare la questione iraniana.

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