il commento2

di Maurizio Caverzan

Due giorni dopo che il film è passato, fuori concorso alla Mostra, anche Avvenire si accorge che nella chiesa sconsacrata di Ermanno Olmi c’è qualche vuoto di troppo. Nella prima scena dell’attesa pellicola del nostro maggiore regista cattolico un grande braccio meccanico stacca dalle pareti un gigantesco crocifisso e altre immagini sacre. Ma poco alla volta, questo è il messaggio de Il villaggio di cartone, la vera chiesa rinascerà diventando rifugio di un gruppo d’immigrati clandestini. È la lettera di un lettore a sollecitare una presa di posizione del quotidiano dei vescovi sul «cristianesimo ridotto ad accoglienza» al quale Il Giornale aveva accennato recensendo l’opera e dialogandone con l’autore. «Se avessi potuto dare un suggerimento a Olmi durante la realizzazione del film», scrive Alessandro da Saluzzo, «gli avrei detto di lasciare il crocifisso sulla parete della chiesa diroccata. Perché è proprio guardando a quel crocifisso che si può “scoprire“ che la nostra salvezza - che è venuta da quella croce - ha una sua dimensione orizzontale (carità) e una verticale (fede) che non devono mai essere disgiunte». Inequivocabile la risposta del direttore della testata cattolica: «Lei dice con semplicità e delicatezza cose vere e importanti... Come forse sa, sono originario di Assisi», premette Tarquinio. E da lui ho imparato «che ogni chiesa “diroccata“ si ricostruisce davvero e si rende accogliente, come luogo vivo e comunità fertile, attorno a Cristo in croce. Nella san Damiano abbandonata e in rovina, all’inizio del travolgente cammino di conversione di Francesco, a parlare nel silenzio fu il crocifisso. Per questo, come lei, io l’avrei rimesso al suo posto».
Che dire: ineccepibile. Salvo una minuscola precisazione. Il direttore di Avvenire scrive di chiesa «diroccata» (tra virgolette). Mentre Olmi ha sempre parlato di chiesa «sconsacrata» o «dismessa». È proprio qui, in assenza di «orpelli», «cerimonie liturgiche» e «altari dorati» che secondo il regista può rinascere la «Casa di Dio».

È proprio dall’abbandono dei simboli e dei sacramenti, evidentemente intesi come propellenti di divisioni, che secondo Olmi tutto può ricominciare. Perciò, a differenza del direttore di Avvenire, non sono sicuro quanto lui quando scrive «che anche Olmi condivida» le osservazioni del suo lettore.

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