Non voterò mai Lega per incompatibilità geografica ed etnica, culturale e politica, ma devo dire che oggi il partito più serio sembra essere proprio quello leghista. Fa male dirlo a un terrone al ciento pe’ ciento, nonostante il cognome, ma è così. Col passare degli anni il partito più giovane del Parlamento è diventato il più antico e con l’età ha acquisito la saggezza; infatti, il partito più grezzo e più esagitato è diventato, almeno nei toni, il più sobrio ed equilibrato.
Vi ricordate cos’era la Lega alla fine del ’94, quando cadde il primo governo Berlusconi? Era considerato l’alleato più inaffidabile che ci fosse, pronto a giri di valzer con tutti. Invece, nel tempo, la prospettiva si è rovesciata e ancora non sappiamo dire se è per merito della Lega o per demerito altrui, ovvero per sopraggiunta inaffidabilità dei «leali» di un tempo. Sono gli altri ad aver fatto un passo indietro o la Lega a fare un passo avanti? Lascio a voi decidere. Un campione di serietà, sobrietà e senso delle istituzioni appare ormai Bossi, che ormai sembra un vecchio capo pellerossa; il coccolone gli ha tolto forse grinta ma in cambio gli ha dato carisma. Bossi dispensa col suo tono da oracolo e da padre della patria, massime di saggezza, lealtà e buon senso. L’altro giorno è riuscito perfino a toccare toni lirici e commoventi, mostrandosi arcitaliano, quando ha rivolto un saluto a sua madre novantenne che abita a due passi dalla piazza dove stava comiziando. Dal ce-l’ho-duro al ce-l’ho-tenero, nel nome dell’ideologia italiana del mammismo. Una svolta.
Ma non è solo Bossi ad acquistare punti nel Paese, è tutto un partito che appare strutturato, saldo, e assai legato alla terra e al territorio. Maroni è tra i migliori ministri dell’Interno e del presente governo, ha equilibrio e incisività e mi pare assai efficace nella lotta alla criminalità. Di poco serio e volubile ha solo la montatura degli occhiali. Zaia e Cota sono bravi e presentabili, come Tosi e molti sindaci leghisti. Il vituperato Borghezio ha più attenzione verso la cultura e le idee di molti suoi colleghi moderati, illuminati e liberali. Perfino il pupone rubicondo Calderoli, che lo immagini quando è in casa con i calzoni corti e i calzettoni bianchi a giocare inginocchiato col trenino (linea cispadana, naturalmente), sembra più sensato e affidabile di molti suoi colleghi. Le loro cravatte verdi che fino a ieri li qualificavano come abitanti di un regno immaginario di cartoons, la Padania del dio Po, ora sembrano quasi un segno di deferenza istituzionale rispetto alla politica descamisada degli ultimi tempi.
Ma anche nelle più recenti turbolenze, il comportamento dei leghisti è stato misurato, confacente, istituzionale. Per esempio sulla vicenda delle liste abbiamo assistito increduli a due cose: agli stupefacenti errori di tempo e di luogo nell’iscrizione delle liste e poi, ancora più stupefacente e trasversale, all’incapacità di rimediare all’errore in modo rapido, concorde e sensato. Il primo errore, che riguarda in primis il centrodestra, suscita meraviglia e sconforto; ma il secondo, che è trasversale, induce a doppia meraviglia e disperazione... In questa ignobile bagarre si è distinta la sinistra, che è stata prima possibilista sull’idea di trovare una soluzione ragionevole all’assurda esclusione; ma poi incalzata da Di Pietro e dalla fame elettorale, ha bocciato tutte le possibilità concrete di rimediare all’errore, perfino il rinvio proposto da Pannella e Scalfaro, nella torva speranza di vincere a tavolino. Beh, in quel bailamme, la Lega si è distinta per serietà, serenità, lealtà politica e istituzionale e buon senso. E anche, se permettete, per astuzia politica, mostrando buona volontà e toni bassi.
In Parlamento, l’altra mattina è stato un leghista, Andrea Gibelli, a rimbeccare opportunamente il presidente Fini che lo aveva richiamato per un suo giudizio critico verso un magistrato «non consono all’aula», a far notare che lo stesso presidente della Camera non aveva richiamato chi poco prima aveva chiamato in aula "latitante" il presidente del Consiglio... Una lezione di correttezza istituzionale e di bon ton.
Si dice che la Lega sia cresciuta a dismisura e condizioni pesantemente il governo. Sarà vero, ma ciò non dipende da abuso o sconfinamento della Lega e nemmeno dal cedimento in loro favore del premier, ma dall’alterazione di un equilibrio nella coalizione. Il centrodestra aveva un Re e vari principati che si bilanciavano a vicenda. Da quando Casini se l’è squagliata e Fini s’è squagliato, nessuno ha fatto più da contrappeso nell’alleanza di centrodestra alla Lega, ad esempio sul piano dell’identità nazionale e dello Stato unitario. Se oggi la Lega è forte e conta troppo sul governo lo dobbiamo anche alle defezioni altrui, a chi non ha tenuto fede al suo impegno con i suoi stessi elettori... E più cresce la fronda nel centrodestra insieme agli errori tattici, formali e politici, più offrono lo scalpo trapiantato di Berlusconi a Toro Seduto Bossi.
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