Sul finire del 1948 apparve, per un editore romano, un volumetto, lanciato in grande stile dalla stampa italiana e internazionale, con il titolo Testamento politico di Mussolini dettato, corretto e siglato da lui il 22 aprile 1945. In realtà non si trattava né di un testamento politico né di un testo autografo del Duce, ma piuttosto di un’intervista su vari temi rilasciata da Mussolini al giornalista Gian Gaetano Cabella, direttore del quotidiano Il popolo di Alessandria. Questo episodio mi torna in mente oggi di fronte ai lanci di agenzia che annunciano l’esistenza, più che il “ritrovamento”, di una cassetta sigillata di zinco nella quale sarebbero custodite, in Valle Spluga, «le ultime volontà del Duce» e «possibilmente anche parte dei suoi diari».
La notizia è, almeno per gli storici e per gli appassionati di storia, davvero ghiotta. E, in prima approssimazione, così com’è stata presentata, verosimile. Tanto più che Mussolini - è ormai assodato - si preoccupò, alla vigilia del 25 aprile, del destino delle carte del suo archivio e della sorte dei suoi diari. Sembra, infatti, certo, sulla base di molte testimonianze, che abbia affidato a persone di fiducia «spezzoni» selezionati del suo archivio contenenti documenti originali e copie fotografiche e che abbia invece conservato, da portare con sé, quei dossier (ora conservati all’Archivio Centrale dello Stato) noti come «carte della valigia». È anche sicuro che fece di tutto per mettere in salvo, in Svizzera presso la legazione giapponese a Berna, le famose agende.
Tuttavia, passato il comprensibile momento di entusiasmo, per la notizia, viene da riflettere su alcuni punti oscuri della vicenda. In primo luogo c’è la questione di quella data - il 2025 - che proprio non torna. Non si riesce a comprendere, per quanti sforzi logici si facciano, il senso di quegli ottanta anni che Mussolini, evidentemente convinto di dover uscire di scena o presago della propria fine, avrebbe indicato. Sono decenni che non corrispondono a nessun evento politico, o di altra natura, prevedibilmente significativo. E che non possono riguardare nemmeno la normativa allora in vigore sulla tutela dei diritti d’autore (ammesso che Mussolini potesse preoccuparsi, in quelle circostanze, di una questione del genere e che, comunque, non avrebbe interessato i suoi testi, ma semmai esclusivamente la corrispondenza privata). Avrebbe potuto avere un senso, forse, limitare la divulgazione di materiale politicamente rilevante per qualche decennio, ma anche in questo caso fino a un certo punto, dal momento che l’apertura degli archivi avrebbe reso sempre meno importanti possibili rivelazioni. E allora? Mistero.
Un altro punto ancora lascia perplessi. Il contenuto della cassetta. Certamente non si può trattare di «ultime volontà», come è stato detto e scritto, perché non ha senso un testamento tenuto segreto per tanti decenni. D’altro canto, quasi certamente, non può trattarsi di una «parte dei diari». Mussolini alle sue agende teneva moltissimo: per preservarle le affidò alla fine degli anni Trenta alla sorella Edvige che gliele restituì nel 1941. Ne strappò soltanto poche pagine e per affetto: dal diario del 1927 quelle relative alla nascita di Romano cui furono regalate proprio per fargli sapere il grado di emozione con il quale aveva accolto il lieto evento. Mai e poi mai, Mussolini avrebbe smembrato l’unità del blocco delle agende.
Nel 1993 un vecchio falegname di Gargnano raccontò che Mussolini gli aveva commissionato, ai primi di aprile del ’45, quattro casse di legno a tenuta stagna con l’interno zincato per metterci i documenti dell’archivio privato. Quelle casse, riempite dal Duce in persona, sarebbero state gettate da un motoscafo al largo della sponda veronese del Garda.
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