È il 18 maggio 1934. La Loggia del Palazzo della Ragione a Milano è affollata di curiosi che stanno per assistere allinaugurazione della Fiera del Libro. Piazza dei Mercanti ribolle di commessi di libreria, impiegati di case editrici e scrittori che mettono in mostra un«orgia di libri pudicamente coperti di cellofane trasparente» visto che è imminente lo scoppio di un temporale.
In questa colorata cornice è ambientato linizio di Giobbe Tuama & C. scritto nel 36 da Augusto De Angelis per la Collana poliziesca delleditrice Minerva e che viene ora pubblicato da Sellerio, dopo il successo raccolto in questi ultimi anni dalla riedizione delle inchieste del Commissario De Vincenzi. Esplicita è la volontà dellautore di scandagliare i vizi delleditoria dellepoca, abituata a produrre «letteratura da tramvai». E proprio sotto laffollato loggiato milanese «il genio si aggaglioffa», mentre le «sartine» si ammassano invano in cerca degli autografi di Montepin, Dumas, Sue, London, Casanova, Ohnet. Dovranno accontentarsi delle siglature di Tino Fiamma sul suo «Gli iconoclasti» e delle improbabili ricette di una certa Penelope. Fra i banconi della Fiera ne spicca uno situato dopo la Loggia degli Osii, quasi davanti allarco che sbuca in via Orefici. Qui la Lega Evangelica Cristiana sta cercando di vendere il Libro dei Libri: la Bibbia. E a propagandarne il miracoloso contenuto è uno strano personaggio che si fa chiamare Giobbe Tuama.
È sulla morte per strangolamento di questo misterioso individuo che dovrà indagare il Commissario Carlo De Vincenzi, scoprendo quasi subito che il fanatico religioso americano aveva cambiato più volte identità e arrotondava facendo lusuraio. Ma De Vincenzi non è poliziotto che svolge le indagini in maniera abitudinaria. Fa poco uso dei rilievi dei suoi colleghi della Scientifica ma tiene «soprattutto conto degli indizi psicologici, dei caratteri morali del delitto. Suo assioma era: il delitto è una derivazione della personalità. E si affidava anzitutto allonda psichica. Poi entrava in gioco lambiente. Linfluenza di esso sullassassino e sulle azioni di lui. Così per prima cosa, De Vincenzi cercava di assorbire lambiente».
Ed è proprio la cornice della Milano anni Trenta a emergere a tinte forti in questo romanzo, dove ci immagineremmo da un momento allaltro di veder sbucare tra finti americani, invasati religiosi, danesi assetati di vendetta, editor rampanti e scrittori falliti, anche gli esponenti di spicco della cultura dellepoca come Orio Vergani, Massimo Bontempelli, Sibilla Aleramo, Trilussa, Raffaele Calzini, Riccardo Bacchelli, Valentino Bompiani (i cui volti non a caso sono stati raffigurati coreograficamente sulla copertina di unedizione speciale del 2000 di Giobbe Tuama & C. realizzata dal pittore Giorgio Tabet per la Fondazione Rossellini).
Ancora una volta De Angelis rifugge dagli schemi facili del giallo a enigma tanto in voga fra i suoi contemporanei, convinto che «il romanzo poliziesco fosse il frutto rosso sangue» dellepoca fascista che stava vivendo. Il Commissario De Vincenzi risulta così più vicino, nel suo spleen, a un personaggio come lAuguste Dupin di Edgar Allan Poe che allo Sherlock Holmes di Conan Doyle e la definizione di «commissario e poeta», voluta dal suo creatore, sembra calzare a pennello a un eroe che passa le notti al commissariato di piazza San Fedele leggendo Platone, Oscar Wilde, David H. Lawrence, San Paolo e Freud. Per De Angelis è naturale difendere la moralità del giallo rispetto allaltra letteratura, perché scrivere gialli è secondo lui un modo sincero per fare poesia.
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