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Como, rimesso in libertà con licenza di uccidere

Il provvedimento choc: il muratore doveva restare in prigione fino a maggio per violenza sessuale. Appena esce spara a un uomo. La perizia: "E' affetto da disturbo delirante di tipo erotomanico e persecutorio"

Como, rimesso in libertà con licenza di uccidere

Como - È grazie a una perizia medico legale del luglio 2008 che Emanuele Enrique Perino sabato era fuori dal carcere, libero di sparare due colpi di pistola all’ex carabiniere Vincenzo Di Maso, ora in gravissime condizioni. «Si segnala che l’attuale detenzione potrebbe attivare processi suicidiari. Viene quindi disposta la liberazione», è il giudizio del tribunale di sorveglianza di Varese del 31 luglio 2008. Perino non era ritenuto «idoneo» al carcere dai giudici, nonostante la condanna per stupro e la sentenza a quattro anni e quattro mesi di detenzione. È un ragazzo malato, come racconta la stessa sorella Rosaria: aveva mostrato problemi psichiatrici già a 15 anni. Era ritenuto pericoloso e aveva violentato una giovane quando aveva 18 anni. Malato, disturbato, con precedenti, eppure libero. «Emanuele Perino è affetto da disturbo delirante, di tipo ertomatico, sfumatamente persecutorio, come elementi depressivi in fase evolutiva», è scritto nel documento che ha garantito la libertà al ragazzo di 21 anni.

Sabato, Emanuele ha sparato a Vincenzo Di Maso, padre di una ragazza già molestata in passato, riducendolo in fin di vita. A 17 è su un treno, si avvicina alla figlia di Di Maso. «Stai ferma o ti taglio il collo», le sussurra mentre le punta un coltello addosso e con l’altra mano tenta di violarla. «Non ho fatto niente», si scusa lui quando si trova con la prima denuncia. Un anno dopo, nel 2006, agisce alla luce del sole. È fuori da un ufficio postale a Cabiate. Avvicina una ragazza che ha solo vent’anni, le punta il coltello addosso. «Sali in auto», le ordina. E poi la costringe a guidare fino a un posto isolato dove le userà violenza. Arrestato e condannato, Perino finisce in carcere. Deve scontare quattro anni. Per l’esattezza, Vittorio Anghileri, il giudice delle udienze preliminari che lo ha giudicato in primo grado per la violenza sessuale fuori dalle poste di Cabiate, gli ha inflitto quattro anni e quattro mesi. Se non ci fosse il rito abbreviato, la pena sarebbe di quasi sette anni.

Nel dicembre 2007 i giudici d’Appello di Milano, rifacendosi a una perizia che considerava Perino parzialmente incapace di intendere e volere, abbassano la pena portandola a due anni, undici mesi e qualche giorno di carcere. La pena scade a maggio. Eppure è già libero, «sotto osservazione psichiatrica», come ricorda il suo avvocato Enzo Pacia, lo stesso che difende Rosa e Olindo Romano. Libero intanto che si decide il da farsi. La scadenza è tra una settimana. Perino avrebbe dovuto presentarsi davanti al giudice di sorveglianza. Gli avrebbero detto che i quattro mesi che gli restavano doveva trascorrerli o in affidamento in prova ai servizi sociali, oppure ricoverato in una struttura sanitaria per essere curato. Ha sparato prima, beneficiando di un valzer di sconti di pena e favori.

A luglio, la sentenza passa in giudicato e i carabinieri vanno a prelevarlo per portarlo al Bassone. Il primo agosto Perino esce. «Il carcere non fa per lui», dice il giudice di sorveglianza.

Un decreto fa uscire il ragazzo e differisce l’esecuzione della pena in attesa di decidere se affidarlo in prova ai servizi sociali o ai domiciliari in una struttura sanitaria.

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