Il compleanno

Il compleanno

Giorgio Napolitano compie oggi 85 anni e cova dentro di sé un cruccio segreto. Non so se definirlo una frustrazione, un fastidio o una vera e propria sofferenza. Ma il povero presidente è costretto a uscire in pubblico più con Ignazio La Russa che con sua moglie Clio. E non può farci niente, la ragion di Stato e il protocollo lo costringono a questo terribile ménage.
Vi rendete conto che strazio per uno come lui che è stato per una vita comunista? Ma non vi fa tenerezza vederlo quando passa in rassegna le Forze armate mentre a un passo da lui, come un corazziere dimezzato per i tagli, lo segue Ignazio che sembra pedinarlo quasi a fare l’imitazione del suo passo, le sue soste e i suoi saluti, con uno sguardo che anche quand’è serio suggerisce lo sghignazzo? E quando riesce a sottrarsi alla compagnia di quell’allegro Caronte della Difesa, già camerata, mondano e femminiere, il povero Napolitano è costretto a uscire con Schifani e Berlusconi; o quando proprio vuole uscire con uno di sinistra non ha di meglio che l’ex camerata Fini. Dev’essere terribile per il gentiluomo venuto dal comunismo napoletano passare i suoi giorni con questa gente qui, anticomunista, destrorsa e padronale. Non si sente un prigioniero politico? E se vuole evadere c’è il clan della Lega, Bossi in testa, che lo ha preso in simpatia e lo considera un po’ la mascotte napoletana della Padania. Per fortuna, il caso Brancher ha interrotto l’idillio. Strappato al suo habitat e ai suoi affetti più cari, costretto alle parate più di Buffon, messo lì a custodire la Costituzione in mezzo a gente che gliela spettina e gliela nasconde in continuazione... Che commozione dev’essere quando incontra uno vero di sinistra: lo abbraccerà come facevano gli emigrati quando incontravano all’estero un connazionale. (Il Forestiero napoletano era un’opera del suo conterraneo Torquato Tasso).
La beffa aggiuntiva è che Napolitano è criticato a sinistra per la sua tutto sommato cortese convivenza con Berlusconi, leghisti ed ex-missini. Di Pietro lo sfotte a ripetizione, D’Alema non gli perdona che gli soffiò il Quirinale, i vecchi compagni come Reichlin lo ignorano nei loro memoriali, Ingrao lo ha in cagnesco, tanti gli tirano di continuo la giacchetta.
A dir la verità, il cruccio del ménage con Ignazio rispecchia il paradosso di tutta una vita. Quando era comunista, Napolitano era guardato con sospetto da Togliatti e dalla nomenklatura per la sua somiglianza impressionante con il re di maggio, Umberto di Savoia, che per giunta era Principe di Napoli. Troppo signore nei modi, troppo da Circolo Posillipo, alta borghesia napoletana, e per giunta troppo sabaudo nell’aspetto, per un leader comunista. Sono convinto che Napolitano fu assegnato d’ufficio dal Partito alla corrente destra, perché aveva le physique du rôle. E lui obbedì. Un delirante gossip dell’era pre-Dagospia lo voleva addirittura figlio naturale del Principe di Napoli. Secondo questa surreale diceria, i massimi arbitri istituzionali della Repubblica italiana, vale a dire Napolitano e Bruno Vespa, risulterebbero figli illegittimi del Re e del Duce... Un folle tentativo di dare continuità dinastica a una nazione parricida.
Napolitano recita con dignità il suo ruolo. Dico recita perché nacque attore, nei Guf di Napoli, i gruppi universitari fascisti, col Teatro degli illusi. Ma a vent’anni prese i voti del comunismo e non li lasciò più. Non smise infatti di essere comunista né dopo la pubblicazione del rapporto Krusciov sui crimini di Stalin, né dopo l’invasione d’Ungheria che anzi difese, né dopo i carri armati a Praga o in Polonia e nemmeno quando regnava l’imbalsamato Breznev e il Pci prendeva ancora i soldi da Mosca. Smise di essere comunista dopo aver raggiunto il massimo d’anzianità, 45 anni di servizio nel Pci, e non per scelta ma per cessazione dell’impresa, perché cadde il comunismo. Per secoli era noto nel partito come Giorgino per distinguerlo da Giorgione, il roccioso Amendola, leader della destra Pci, però più filosovietica e centralista della sinistra. Mezzo secolo di comunismo per finire a spasso con La Russa, che non è una compagna sovietica dei bei tempi, come potrebbero pensare i vecchi comunisti.
Certo, Napolitano è sempre stato un migliorista, conosceva l’inglese in un partito che non andava oltre il russo, teneva rapporti con l’America ed è uomo di buon senso e delle istituzioni. Fu buon presidente della Camera e rispettabile ministro dell’Interno; firmò la discussa legge Turco-Napolitano, che sembra il titolo di un famoso film di Totò. Al Quirinale cerca di quadrare il cerchio, e lo fa con stile ed equilibrio. Le sue parole più dure sono addolcite dalla bocca a cuoricino che le esprime, insalivandole come il rum sul babà. Ha un labiale, il presidente, che sembra baciare le parole che pronuncia: ogni sua parola pare nu' vase. Non riesco a vederlo con il pugno chiuso, lo immagino a far burraco o chemin de fer al Circolo o passeggiare in blu marine sul molo Beverello per imbarcarsi a Capri. Comunque rispetto il suo passato: meglio avere un passato da dimenticare piuttosto che venire dal nulla. Lo stesso vale per il passato di La Russa, s’intende; anzi ’Gnazio può sempre dire che, in fondo, con l’amor patrio, i militari e la nazione ci azzecca più lui che un ex comunista.

Ignazio non ha colpa se ha quella faccia goliardico-satanica, quegli occhi luciferini, quella risata fascio-cazzara e quella voce a metà tra le vuvuzelas e lo scacciapensieri... Ma capisco il dramma di Napolitano. Auguri Presidente, la trovo amabile. Una pastiera d’uomo.

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