Questo è Fini. Non c’è più bisogno di interpretare il futuro. La sua azione politica si condensa in quattro mosse: battezzare il nuovo partito, stringere un’alleanza con Casini e Bersani, far saltare il banco al Senato e usare la riforma elettorale per cacciare Berlusconi. In tutto questo la democrazia è un cane da prendere a calci. Benvenuti nella terra dove il voto è un fastidio inutile. Se non è un golpe, ci assomiglia.
Questo è Fini. Questo è il presidente della Camera che giura sulla Costituzione: io sono super partes. Eccolo. Sono giorni che sta scarabocchiando con i suoi nuovi alleati una bozza di legge per cambiare le regole del gioco. Quello è il documento su cui si spera di scrivere il ribaltone. Lì si vuole formare una maggioranza che si riconosce in un solo programma politico: abbattere il Cavaliere. Se questo fino a ieri era un progetto, ora cominciano a partire i primi colpi per scardinare il governo. La politica sta accelerando. I tempi li sta dettando il presidente della Camera. È lui che sceglie quando e cosa mettere in calendario. Federalismo? No. Università? Forse. Giustizia? Mai. Quello che gli interessa? Subito. Fini, spalleggiato da Pd e Udc, scrive così una lettera a Donato Bruno, presidente degli Affari costituzionali di Montecitorio. Cosa c’è scritto? Sbrigati. Fini chiede a Bruno di incardinare il dibattito sulla legge elettorale. La motivazione ufficiale è l’alto numero di provvedimenti in materia già assegnati in commissione. L’urgenza è un’altra. Far partire il ribaltone.
I tempi sono maturi. Il Carroccio, con Maroni come aruspico, fa capire che la pazienza è in riserva. Non ha senso vivacchiare con la truppa dei finiani pronta a spararti alle spalle. I leghisti non si fidano. Non si fida neppure Berlusconi. Non si fida di Fini e non si fida della trappola che gli stanno arrangiando alle spalle. Lo ha detto: se cade il governo l’unica strada è il voto. È l’esatto opposto di quello che pensano i suoi avversari.
Italo Bocchino va a Porta a Porta e svela lo scenario che aveva pronto da parecchio tempo. «Se Berlusconi staccherà la spina per concludere la legislatura, noi siamo pronti ad una maggioranza alternativa in Parlamento per modificare la legge elettorale». Bocchino racconta che i tempi stanno cambiando. «È evidente che il Porcellum, la legge elettorale vigente, era concepito per un sistema nel quale ci sono due partiti trainanti. Ma con la presenza dell’Idv e dei leghisti le cose sono cambiate». I finiani stanno certificando che il bipolarismo non esiste più. Non per colpa loro, non per lo strappo improvviso, ma per la scomoda presenza nel mondo di Bossi e Di Pietro. Qual è la medicina? L’anti-democrazia. Non c’è male come soluzione. Ma che qualcuno almeno ci risparmi la predica sulla destra liberale, liberista e libertaria. Così, tanto per non sporcare le idee degli altri. Ancora più furbo Casini che cerca di mascherare tutto con una grande ammucchiata. Tutto il quartierone tranne Berlusconi. «Mi auguro una convergenza ampia, non solo dell’opposizione, ma anche del Pdl e della Lega». A questo punto non resta che offrire l’esilio al Cavaliere.
Il progetto è scritto. Non piace solo a chi sta scommettendo sul voto degli italiani. Non è un caso che Di Pietro senta puzza di inciucio. «Riforma elettorale? Io ci sto. Ma sia chiaro. Un governo a tempo, 90 giorni, con la garanzia del capo dello Stato. Non vorrei che tutto questo fosse solo la scusa per procrastinare nei prossimi tre anni un governo non eletto». Tonino non vuole passare la vita a spartirsi il tavolo del potere con Fini, Casini e Rutelli.
Quanto manca all’inizio del colpo di ribaltone? Nei palazzi del potere si racconta di un manipolo di senatori dormienti che al momento opportuno è pronto a «sicarizzare» la maggioranza. Tutti smentiscono. Natalia Lombardo dell’Unità raccoglie le confessioni di alcuni peones che parlano di una decina di finiani sotto copertura. Si parla in particolare dei quattro mori, vale a dire il gruppo di Beppe Pisanu e dei suoi colleghi sardi Mariano Delogu, Fedele Sanciu, Piergiorgio Massidda. L’ultimo è quello che si sbilancia di più. Sta giocando a carte scoperte. Massidda assicura di adorare Berlusconi, ma odia il voto anticipato: «Dello stesso avviso sono almeno altri 12 senatori». Poi per spiegare le sue ragioni diventa anti-epico. «Io parlo per me, uso la mia testa.
E posso dire che non mi sento come Ben Hur di incamminarmi verso il rogo elettorale sciogliendo inni di ringraziamento». Non si sa se è una scusa o il suo discorso risponde alla legge sacra dei peones. In questo Parlamento ci sto, nel prossimo chissà. Le poltrone, come è noto, non hanno coscienza politica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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