«Comprare arte contemporanea? L’occasione di investire nel bello»

U no spazio che si distribuisce su cinque piani, di cui quattro espositivi, nel cuore di Venezia, a Palazzo Pestrin. Dopo Cortina e Mestre, è la terza galleria del mercante d’arte Stefano Contini, inaugurata a maggio e che fino al 28 novembre, nel periodo della Biennale, ospita la mostra Omaggio agli artisti, una selezione delle opere più significative di nomi di respiro internazionale quali Fernando Botero, Julio Larraz, Igor Mitoraj, Zoran Music, Sophia Vari e Fabrizio Plessi, che ha creato ad hoc per la mostra una video-installazione che trasforma il palazzo in una scultura.
Aprire una nuova galleria è senz’altro una scelta coraggiosa in un momento di crisi. Ha forse una ricetta per affrontare questo periodo?
«Sono convinto che anche se è un momento di crisi, l’arte si compri per gratificarsi, per passione, per investimento, per emulazione e, perché no, anche per combattere la crisi: da che esiste il collezionismo d’arte, questa non ha mai tradito nessuno. Quando si sceglie un’opera, questa può diventare un’eccellente compagna di vita. La ricetta per non sbagliare mai è comprare sempre quello che piace».
Quali sono state le vere ricadute della crisi sul mercato dell’arte? Chi è penalizzato, chi si rafforza?
«Negli ultimi anni assistiamo a un’espansione esponenziale del mercato dell’arte in luoghi impensabili, come Est Europa, Paesi Arabi, Oriente. Chi è rimasto ancorato a un mercato nazionale subisce la recessione. Come la maggior parte delle aziende che devono continuare ad investire, così il gallerista deve anticipare ciò che potrebbe accadere sul mercato, perché ha il compito, insieme ai critici d’arte, di dare indicazioni su ciò che sarà. Chi subisce il mercato passivamente senza proposte innovative sarà senz’altro penalizzato. Ma l’arte rimane innanzitutto un investimento interiore senza prezzo, poiché parte dal genio umano. È il vero valore che la società possiede perché dentro ci sono cultura, esperienza, storia di una civiltà».
L’arte contemporanea non ha un attimo di respiro: placate le consuete polemiche post-apertura della Biennale, arrivano le bordate di Jean Clair e del suo Inverno della cultura. Possibile che lei abbia scommesso per trent’anni su «un’industria di patacche milionarie»?
«Grazie a Jean Clair si è riacceso un dialogo che negli ultimi tempi si stava involvendo. Clair sostiene che l’arte si sia fermata con la pittura figurativa espressa dalla sofferenza, e cita artisti come Music e Freud come ultimi “grandi”. Altri critici viceversa sostengono che la vera arte parta dagli anni ’50. Ritengo che l’arte sia senza tempo e ogni espressione artistica vada considerata perché rispecchia il momento storico in cui viene realizzata. Se l’arte di questo periodo si rivelerà una patacca lo vedremo. Io non credo».
Ma si può parlare di una «degenerazione» dell’arte dovuta al prevalere di strategie di marketing?
«La degenerazione non è nell’arte ma dentro di noi, che viviamo di sms, internet... Ma il marketing è necessario: tiene alta l’attenzione su prodotti già affermati o su una ideologia. Il consiglio che posso dare ad un appassionato d’arte che cerchi l’autenticità è affidarsi al professionista: il gallerista, che ne risponde penalmente a vita».
Che cosa pensa delle star dell’arte additate da Jean Clair come Cattelan, Hirst, Koons, Murakami? Quanto c’è di autentico in loro?
«È inutile fare i nostalgici e rifiutare il presente. Questi artisti, che ci piaccia o no, sono ormai entrati nella storia dell’arte. Se poi dal punto di vista economico le loro quotazioni rimarranno, lo dirà solo il tempo. Personalmente credo che sarà difficile».
Tra le sue scoperte c’è il tanto celebrato Zoran Music, di cui lei faceva incetta quando nessuno ne sapeva nulla.
«Ho sempre cercato di guardare dove gli altri non guardano, libero da aggregazioni. Ho conosciuto l’opera di Music per caso, ne sono rimasto affascinato e ho cominciato a comprare quando non era riconosciuto sul mercato, ma era comunque molto considerato dalla critica. Ero molto giovane: grazie a lui ho potuto conoscere i grandi direttori di musei, i critici, i nomi della cultura nel mondo dell’arte».


Esiste davvero un flair per l’arte contemporanea o è ancora tutta questione di bolle?
«Il flair esiste, se è la capacità di capire dove la società sta andando. Gli artisti molto spesso anticipano il divenire della storia. Basta guardare le Biennali, da cui puntualmente, dopo le critiche, escono i grandi del domani».

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