da Milano
In una si parla di «vittima del terrorismo», nellaltra di «vittima della spirale di violenza politica che bagnò di sangue innocente le strade di Milano». Solo questione di parole, dirà qualcuno. Ma le parole sono più delle pietre, soprattutto quando bisogna scolpirle sulle lapidi per ricordare chi offrì la vita per servire lo Stato.
E così domani Milano ricorderà, a 35 anni dal suo assassinio, il commissario Luigi Calabresi. Con due diverse cerimonie e con due diverse motivazioni. Per il Comune (gestione centrodestra) il sindaco Letizia Moratti, dopo essersi consultata con la vedova Gemma Calabresi, ha fatto scolpire la parola «terrorismo» in un masso di pietra lombarda da porre nel giardinetto di via Cherubini, il luogo dellagguato. Nettissima la distinzione tra chi fu vittima e chi carnefice. Tutto molto molto meno chiaro nella comunque lodevole iniziativa della Provincia. Targata centrosinistra e guidata dal diessino Filippo Penati, ex sindaco di Sesto San Giovanni, lallora Stalingrado dItalia. «A Luigi Calabresi - si leggerà nel cippo posto nella sala dei Congressi di via Corridoni -, fedele servitore dello Stato, vittima della spirale di violenza politica che bagnò di sangue innocente le strade di Milano. A 35 anni dal suo vile omicidio lo ricorda e lo onora la Provincia di Milano». Spirale e violenza politica, con il rischio della notte hegeliana in cui tutte le vacche sono nere. A sostegno del presidente Penati il fatto che per ricordare Calabresi ha dovuto litigare non poco con i «compagni» di coalizione. In gennaio la sua giunta si spaccò al momento di votare la stele, con gli assessori di Rifondazione comunista che decisero di astenersi perché non fu concesso un uguale omaggio allanarchico Giuseppe Pinelli, caduto dal quarto piano della questura il 15 dicembre 1969 mentre veniva interrogato sulla strage di piazza Fontana. E oggi lì ricordato con una lapide abusiva, dopo che lex sindaco Gabriele Albertini la fece sostituire con una ufficiale. Nella quale cè scritto «morto», anziché «ucciso innocente».
Un cambio che non piacque agli anarchici del Ponte della Ghisolfa che rimisero la loro. Abusiva, ma mai rimossa.
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