Il Comune non vuol dare regole ai phone center per immigrati

Respinta la richiesta di Rixi (Lega Nord) che chiedeva più attenzione nelle concessioni come fanno altre città

Il Comune non vuol dare regole ai phone center per immigrati

Roberto Bottino

«Se i phone center servono per riciclare denaro o esportare valuta non è una cosa che interessa a questo consiglio comunale». Lapidarie le parole pronunciate dall'assessore al commercio del Comune di Genova Mario Margini, in risposta ad una mozione presentata dal capogruppo della Lega Nord Edoardo Rixi in merito alla regolamentazione dei phone center. La giunta per bocca dell'assessore competente si è espressa negativamente, e con 22 voti contrari e 10 favorevoli, la mozione è stata respinta. A nulla sono servite le problematiche legate a questi centri di telefonia sollevate dal consigliere del Carroccio. «Il fenomeno dei phone center - dice Rixi - sta assumendo proporzioni sempre più rilevanti e spesso nasconde operazioni di trasferimento di denaro all'estero. Il problema è nato dopo che a livello europeo era stata emessa una direttiva secondo la quale dovevano essere abolite le vecchie autorizzazioni da parte del Ministero delle telecomunicazioni e si doveva consentire a questi centri di aprire previa semplice comunicazione. In realtà in Italia viene concessa, anche da parte di operatori diversi, la facoltà di utilizzare i loro sistemi informatici per la trasmissione di denaro all'estero. La situazione si è venuta ad aggravare con il proliferare di questi centri che da semplici servizi di telefonia sono passati nelle ore notturne a vendere alcolici e prodotti di genere alimentare».
La principale accusa che il consigliere leghista muove nei confronti della pubblica amministrazione è legata alla mancanza di norme igieniche e controlli di questi locali e il grave disturbo che inevitabilmente arrecano alla quiete pubblica tenendo sollevate le saracinesche fino a tarda notte. «C'è l'anarchia più assoluta - continua Rixi -. In tutta Italia ci sono state varie inchieste da parte della guardia di finanza su questi centri. L'ultima è stata a Roma dove proprio nel phone center del fratello è stato trovato Osman Hussein, uno degli organizzatori dell'attacco terroristico del 21 luglio 2005». Nella sala rossa c'è chi, come la consigliera di Rifondazione Comunista Patrizia Poselli, difende i phone center e chi li gestisce. «È giusto - sottolinea -, che i diritti di queste persone siano equiparati a quelli di qualsiasi altro lavoratore. Per quanto concerne l'apertura durante le ore notturne invece, la colpa è esclusivamente del fuso orario».
I comuni di Torino, Milano, Brescia, Bergamo, Treviso e Vicenza proprio a causa della mancanza di una normativa nazionale legata ai phone center, hanno cercato di creare un regolamento comunale per arginare il problema. Il Comune di Genova a detta dell'assessore Margini ha invece le mani legate, ma visto il risultato della votazione, manca soprattutto la volontà di agire. «Quando i locali sono a norma di legge - dice Margini -, non sta a me dire sì o no rispetto all'autorizzazione, perché loro agiscono sulla base di una derivante a livello nazionale. La non regolamentazione credo che sia un errore, ma la iper regolamentazione rischia di essere un errore più grande».

L'unico modo in cui il Comune di Genova potrà bloccare l'eccessiva proliferazione dei phone center è legato a maggiori controlli a livello igienico sanitario, ma al di là di questo, la strada sembrerebbe tutta in salita.

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