Il comunismo è morto ma per cause naturali Non ucciso da Berlusconi

Il comunismo è morto  ma per cause naturali Non ucciso da Berlusconi

Egregio dottor Granzotto, pur esaltando giustamente il gran merito di Montanelli di avere combattuto strenuamente il conformismo dilagante e più ancora il comunismo per vent’anni e più di lotta, capitolando alla fine, deve riconoscere che il detestato Berlusconi ha fatto meglio e più di lui in poco tempo: ha messo in crisi il comunismo in Italia e i risultati lo confermano. Purtroppo «solo contro tutti», abbandonato anche da Montanelli. Come lo spiega? Sarà meglio soprassedere, non crede? Posso capire il suo imbarazzo.
Cogorno (Ge)

Perché mai dovrei essere imbarazzato, caro Prandin? Il comunismo mica l’ha debellato, come una mala pianta, tizio o caio. Il comunismo si è suicidato, ha fatto tutto da solo e questo rende ancor più definitivo il giudizio della Storia. Non una rivoluzione, non un 25 luglio, non sovvertimento esterno hanno determinato la fine del comunismo. Che è imploso o se preferisce che è crollato sotto il peso delle sue menzogne. Dei suoi gulag, delle sue «purghe» e delle sue Lubianke, del suo pacifismo bellicista, del suo regime liberticida. Chiarito ciò, va riconosciuto a Montanelli di non avergli mai dato tregua, al comunismo, d’averlo sempre e tenacemente combattuto. Proponendosi di farlo non solo con la penna. Nei primi anni Cinquanta sottopose infatti all’ambasciatore americano, Clara Boothe Luce, il progetto di creare una struttura paramilitare che fosse pronta a entrare in azione in caso di vittoria elettorale del Pci. Montanelli si diceva convinto che l’Italia non avrebbe potuto rimediare da sola al pericolo di diventare satellite dell’Urss, né opporvisi con metodi democratici «essendo la democrazia una medicina, inefficace quando serve il bisturi». Tuttavia, tenne a precisare, la «struttura» sarebbe passata all’azione solo quando tutto fosse perduto «perché noi intendiamo - lasciò scritto nel memorandum - puntellare la democrazia fino al giorno in cui essa abbia una possibilità di sopravvivenza. Solo dianzi al suo cadavere tenteremmo d’impadronirci dell’eredità per sottrarla ai comunisti: o aiutando un colpo di Stato, se si troverà un uomo, tra quelli al potere, disposto a tentarlo; o facendo per conto nostro: pronti, in quest’ultimo caso, a scatenare una guerra civile con tutte le sue inevitabili conseguenze, allo scopo fondamentale e basilare d’inchiodare l’Italia nell’Alleanza Atlantica». La sapeva questa storia, caro Prandin? Probabilmente no perché in base alla legge degli Stati Uniti sui documenti riservati la vicenda fu resa nota dieci anni dopo la morte della signora Luce, nel 1997. Ma in quell’anno Montanelli era già stato preso in carico dalla sinistra che non poteva certo dar pubblicità a carte che denunciavano le intenzione golpiste e anticomuniste di colui che aveva appena elevato - per meriti antiberlusconiani - a venerato maestro. Per le ragioni sopra esposte e sulle quali credo che lei, caro Pradin, vorrà concordare, nemmeno a Berlusconi, che pure ne ha a iosa, può attribuirsi il merito d’aver «messo in crisi» il comunismo. Ha largamente contribuito, questo sì, a mettere in crisi quella raffazzonata e sgangherata congerie che chiamiamo «sinistra», impedendole di maturare non dico una ideologia, ma anche una semplice strategia. Il Cavaliere giustamente vanta d’aver fatto fuori sei (per ora) segretari del partito che con una stupefacente varietà di sigle riferite al regno animale e vegetale raccolse l’eredità di quel cadavere ambulante del Pci. In ciò mettendoci del suo direttamente e indirettamente.

E cioè con devastanti (per la sinistra) vittorie elettorali e avendo dato corpo all’antiberlusconismo, veleno col quale «i sinceri democratici» si stanno suicidando giorno dopo giorno. Lo stesso antiberlusconismo, più ostentato che intimamente sentito (tutt’altra cosa, caro Prandin, d’una conversione a sinistra), che rese malinconico il tramonto del grande e caparbio Indro.

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