L’ha violentata per sette anni, sfruttando il silenzio complice della convivente, madre della sua vittima. Ieri per l’uomo è arrivata la condanna a 13 anni di reclusione, un anno in più rispetto a quanto chiesto dalla stessa accusa. La condanna è stata inflitta dai giudici della nona sezione penale a Mustafa Syla, un serbo che oggi ha 34 anni. La vittima è una ragazza di 18, che l’uomo ha cominciato a molestare quando ne aveva 10. Nel 1998 si era trasferito nell’appartamento della sua amante, la madre della bambina, che inizialmente vedeva in lui quella figura paterna scomparsa da tempo. Due anni dopo, però, sono cominciate le molestie, che in breve tempo si sono trasformate in frequenti rapporti violenti. In base a quanto ricostruito dal procuratore aggiunto Marco Ghezzi, in almeno due occasioni la bambina aveva cercato l’aiuto della madre e della nonna, alle quali in lacrime avrebbe confidato quel che succedeva. Richieste cadute nel vuoto, tanto che le violenze sono proseguite per sette anni. Anche quando agli stupri si sono sommate le botte, perché l’uomo era geloso di un ragazzo che la figliastra aveva cominciato a frequentare. A sospettare qualcosa, portando infine alla denuncia, è stata un’insegnante di ginnastica. Sul finire dell’anno scolastico ha trovato la ragazzina ormai 17enne coperta di lividi e quando gliene ha chiesto la ragione, la studentessa si è schermita, dicendo prima di aver litigato con i suoi fratelli, poi ammettendo parzialmente che a picchiarla era stato il patrigno. Quando le lezioni sono ricominciate, dopo la pausa estiva, la stessa insegnante ha ritrovato la sua allieva piena di lividi. A questo punto è riuscita a farsi confidare la verità e ha procurato alla 17enne un colloquio con un’assistente sociale. All’esperta la studentessa si è limitata a dire di voler andare in una comunità protetta, ma è comunque scattata l’inchiesta penale che, dopo gli opportuni accertamenti, è costata all’uomo l’arresto per violenza sessuale aggravata nei confronti della ragazza e maltrattamenti nei confronti anche dei suoi fratelli. Anche la madre e la nonna sono state incriminate, con le stesse accuse perché per il codice penale non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. La prima è stata condannata nei mesi scorsi con rito abbreviato e la seconda è stata assolta per insufficienza di prove.
Syla invece è finito a processo davanti al collegio della nona sezione penale, presieduto dal giudice Anna Conforti. Il pm aveva chiesto nei suoi confronti una condanna a 12 anni di carcere. I giudici, dopo oltre quattro ore di camera di consiglio gliene hanno inflitti 13.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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