Condominio, comunione e rapporti di vicinato

«In tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 Codice civile non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condòmini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condòmino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova». È la massima della sentenza della Cassazione n. 11195/’10, inedita. Altra importante sentenza, sempre a proposito di proprietà condominiale.
«In materia condominiale, le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell’art.

889 Codice civile, trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari; pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio tra condòmini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sè il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali». Lo ha stabilito la Cassazione (sentenza n. 12520/’10, inedita).
*Presidente Confedilizia

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