«A partire dalla seconda guerra mondiale molte delle persone che si sono distinte in qualcosa - soprattutto gli statisti, i politici e i membri dei servizi segreti - hanno dato alle stampe la storia della loro vita. Lo stesso hanno fatto in tanti, che non si sono distinti proprio per nulla... ». Può sembrare sorprendente, ma questo capolavoro di ironia in sedicesimo non proviene da Jerome o da Shaw, e neanche da un altro dei celebrati umoristi inglesi, bensì da un dizionario nemmeno troppo invecchiato, risalente agli anni 60 del Novecento; il che testimonia a sufficienza quanto il tema delle autobiografie sia capace di spingere al dileggio il più ingessato degli accademici.
Da allora la situazione, se possibile, è andata peggiorando: basta gettare uno sguardo alle autobiografie apparse negli ultimi anni per accorgersi che gli statisti, i politici e le spie sono stati affiancati e poi costretti alla ritirata dalla valanga di nuove categorie professionali, che meglio hanno saputo adattarsi alla rutilante società dello spettacolo. Attori, cantanti, disegnatori. Qualche esempio? Pare che in Inghilterra, da alcune settimane, si sia scatenata la corsa per accaparrarsi le preziose memorie di Patsy Kensit; mentre da noi lautobiografia politica di Giorgio Napolitano giace negli scaffali accanto al libretto in cui Giovanni Allevi, pianista pop, parla tanto di sé. Con questa piccola, ma significativa differenza: che il presidente della Repubblica vende molto meno del suo giovane concorrente il quale, non ne dubitiamo, verrà presto a sua volta sorpassato da unammiccante Valeria Marini che ha avuto la furbizia di nascondere della merce formalmente proibita, proibita e a colori, in un fascicoletto «sigillato» al centro del suo recente volume autobiografico (Lezioni intime, Cairo Editore). Così, per generosità; e che il lettore non si privi di niente.
Il successo del libro di Allevi, del resto, non è nemmeno il più stupefacente, visto che nello stesso volgere di mesi in cui lautobiografia di Günter Grass, Sbucciando la cipolla, scuoteva la Germania dalle fondamenta, gli editori italiani ritenevano opportuno stampare la confessione di Iijima Ai, una star della tv giapponese nonché ex pornodiva (Platonic sex, Rizzoli); lautobiografia di Sabine Kuegler, professione dichiarata «figlia di missionari e antropologi svizzeri» (Figlia della giungla, Corbaccio); nonché Una vita fuori gioco, dove la vita è quella dellex-calciatore Ezio Vendrame (sempre Rizzoli). Ma si potrebbe continuare allinfinito, magari ricordando Angelicamente anarchico (Mondadori), titolo sciantoso che mal si addice al sacerdote che lo ha scelto, don Andrea Gallo; oppure Brutta! (Corbaccio), dove una signora che risponde al nome di Constance Briscoe (se il nome non vi è nuovo avete vinto un orsacchiotto) rivela gli aspetti notevoli, ossia degni di nota, della sua infanzia e poi del suo essere giudice, inglese, donna e di colore.
A ben vedere il libro della Briscoe, tuttavia, ha almeno un pregio: ci mette sulle tracce di una strana verità. A quanto pare basterebbero tre o quattro caratteristiche ben assortite - gravi e invalidanti idiosincrasie, spaventose esperienze infantili, mestieri cinici o sentimentali - per sedurre un editore e convincerlo ad aprire il libretto degli assegni. Come non precipitarsi ad acquistare lautobiografia di un campione di bocce brasiliano, creolo e malato di mente? E le confessioni di una ballerina laureata ad Harvard con lhobby dellalpinismo e un marito iscritto al Ku-Klux-Klan? E chi rinuncerebbe a nutrirsi delle rivelazioni di un preside con una gamba sola, esponente del Partito radicale polacco nonostante i suoi trascorsi di addetto alle impiccagioni, trascorsi mai rinnegati e men che meno nellimmaginario volume in questione?
In questi casi, in quelli veri come in quelli inventati, il losco meccanismo che rende impossibile la minima reazione è lo stesso: non è una vita straordinaria a condurre naturalmente allautobiografia; è piuttosto questultima ad alludere a una vita straordinaria che di solito, gratta gratta, non cè. In altri termini non ci si confessa più davanti alla pagina bianca per strappare alloblio quanto di prezioso si è riusciti ad accumulare durante unintera esistenza - come almeno ha fatto Eugenio Scalfari, superata la soglia degli ottantanni in Luomo che non credeva in Dio (Einaudi); al contrario, si prova a nobilitare unesistenza banale scrivendoci sopra un libro. In un certo senso assistiamo alla nascita di un nuovo genere letterario: quello dellautobiografia preventiva. Non a caso una volta si dettavano le proprie memorie da vecchi, mentre adesso le si commissiona imberbi a un ghost writer che costa due lire e non pretende di comparire in copertina. E se con tutto il mio gossip e i miei red carpets, in realtà, non esistessi? È da questo amletico rovello che discendono la precoce autobiografia di Allevi o quella, annunciata, del ventottenne Francesco Facchinetti. Avevano bisogno di un certificato di esistenza in vita...
Ecco perché ormai, capito il trucco, abbiamo smesso di pretendere che lautobiografo sia munito non solo di un prorompente narcisismo, ma almeno di uno straccio di curriculum; e permettiamo praticamente a chiunque, purché vanti la complicità di una casa editrice, di infliggerci la storia della sua vita con la stessa remissività che ostentiamo durante un viaggio in treno o in aereo, quando il giornale rimane piegato fra le mani mentre lestraneo che siede al nostro fianco ha già cominciato a diffondersi sugli zii di secondo grado, e pencola pericolosamente verso la malattia del nonno, la fabbrichetta dellavo, il seggio da senatore dellàtavo...
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