Sono tanti. Forse troppi. Ma hanno fatto (e stanno ancora facendo) da «ammortizzatore sociale» alle aziende colpite da una crisi senza precedenti che ha soffiato forte nel 2008-2009 e ha ripreso con virulenza dalla seconda metà dell’anno a causa dei debiti sovrani, della speculazione sui bond e del clima di sfiducia che si è diffuso in tutta Europa: «Per fortuna che ci sono i Confidi», dice, infatti, Mario Bettini, presidente di Casartigiani Lombardia. «È stato soprattutto grazie a loro se in questi anni la maggior parte degli artigiani ha avuto la possibilità di accedere al credito. Ma questi organismi hanno assoluto bisogno di essere finanziati e ripatrimonializzati. Sono l’ultimo baluardo nei confronti di un sistema creditizio che, pur con le dovute eccezioni, non sta ancora aiutando le imprese». Giudizio pesante? Può darsi. Il fatto è che le aziende incominciano a intravedere una nuova stretta sul credito. Da luglio-agosto, infatti, ci sono meno prestiti e a più caro prezzo. Lo certificano anche il rapporto di Abi (prestiti a luglio inferiori del -5,4% rispetto a giugno) e il bollettino economico di Bankitalia: gli uomini dell’istituto di via Nazionale, infatti, sostengono che si stanno moltiplicando i sintomi di una stretta sul credito Se il trend si dovesse consolidare, influenzato anche dai criteri restrittivi di Basilea 3, per molte aziende, sopravvissute alla crisi globale, sarebbe il disastro. Anche se illustri relatori all’ultimo convegno di BancaFinanza nella sede di Assolombarda dal titolo emblematico «Finanziare la ripresa», hanno gettato acqua sul fuoco del pessimismo. In Italia, da una parte abbiamo un tessuto imprenditoriale vitale e dall’altra c’è un sistema bancario le cui condizioni rimangono buone, grazie alle ricapitalizzazioni e alla redditività dei cinque gruppi principali. Ma le difficoltà sono note: le sofferenze del sistema industriale in pancia alle banche hanno raggiunto il record di 100 miliardi, mentre i default aziendali, secondo l’analisi di Cerved Group, nel secondo trimestre 2011 sono schizzati del 13,1% e, purtroppo, la stretta creditizia rischia di incrementare questo trend.
I TITOLI DI STATO CONTAGIANO LE BANCHE Il giro di vite allo sportello è legato al contagio dei nostri titoli di Stato, perché i tassi sul debito pubblico sono il termometro di riferimento per il costo della raccolta bancaria. Più, quindi, lo spread sui titoli governativi aumenta, più gli istituti bancari devono pagare per collocare il loro debito. E il maggiore costo della raccolta determina il rialzo dei tassi applicati dalle aziende di credito, che sta coinvolgendo il sistema industriale italiano, poco patrimonializzato e troppo bancocentrico. Infatti, nel nostro Paese, diventa evidente a tutti che se un’azienda non ha equity da terzi, o risorse proprie, è costretta a chiedere soldi alla banca. La quale banca non solo fa costare più caro il denaro (in molti casi l’aumento dello spread è di quattro punti), ma lo presta con il contagocce per paura di incrementare le sofferenze. Lo ha evidenziato a fine luglio, tra gli altri, anche il sondaggio di Confindustria padovana, nel quale il 47,7% delle imprese segnalava non solo l’aumento del costo del denaro, ma soprattutto un credito bancario molto («troppo» per gli imprenditori) selettivo. Ecco perché l’ultimo baluardo per accedere al credito e per chiedere un fido a costi competitivi sono i confidi. Ci sono quelli di primo grado che garantiscono il 50% del fido chiesto dall’imprenditore, e quelli di secondo grado che controgarantiscono la garanzia del confidi di primo grado. Infine ci sono le Regioni che stanno iniettando risorse nei confidi di seconda categoria.
SOTTO PRESSIONE Il mondo dei confidi è sotto pressione. La ragione è semplice: per essere garantite nei confronti delle banche almeno del 50%, le richieste di garanzia da parte delle imprese sono aumentate, rispetto al 2008, del 350%. E finora i patrimoni dei consorzi fidi hanno retto all’urto. Ma, se la crisi continua e le domande per ottenere una garanzia rimangono elevate, c’è il pericolo che il patrimonio di questi organismi non sia più in grado di garantire gli affidamenti concessi dagli istituti di credito. Allora devono intervenire le Regioni per investire risorse che rendano più solidi questi patrimoni, oppure il meccanismo si incepperà. Basterà questo sostegno pubblico? Forse no. Lo dice Francesco Bellotti, presidente di Assoconfidi, l’associazione che riunisce le federazioni nazionali di categoria promosse da Confartigianato, Cna, Casartigiani, Confindustria, Confapi, Confcommercio, Confesercenti e Coldiretti, conta 350 confidi soci, 950 mila imprese associate e quasi 52 milioni di finanziamenti garantiti in essere: «Bisogna aprire il nostro patrimonio anche a banche e grandi aziende senza dover rivoluzionare la governance».
NUMERO ALTISSIMO Ma quanti sono i confidi? Una galassia. Ce sono 630, cosiddetti «106» (nel 2006 erano circa 1.000, a testimonianza del notevole processo di aggregazione e razionalizzazione), mentre 43 sono stati iscritti nell’elenco speciale degli intermediari finanziari ex vecchio articolo 107 Tub, e sei sono in istruttoria per l’iscrizione. Dei 43 Confidi iscritti nell’elenco speciale, sono soltanto tre quelli che presentano un portafoglio di garanzie in essere superiore a un miliardo di euro, 13 quelli che esibiscono una dimensione compresa tra oltre 150 milioni e un miliardo, 27 quelli che hanno un portafoglio inferiore a 150 milioni. Se ne deduce che la maggioranza dei confidi maggiori ha patrimoni risicati. Ma non solo. Il numero dei confidi è considerato ancora eccessivo, ridondante e pletorico. Sono ancora troppi, dunque, e troppo piccoli se si pensa che il 17% di questi organismi di primo grado non ha un dipendente e il 22% ne ha uno solo. Ed è per questo che da più parti si chiede di alzare la soglia minima del patrimonio richiesto o precluderne l’operatività al di sotto di certe dimensioni.
AGGREGAZIONI NAZIONALI Eppure i confidi hanno svolto una funzione anticiclica pregevole, perché sono riusciti a mitigare il razionamento del credito nei momenti più acuti della crisi, e con 22 miliardi garantiscono poco più di un quarto dei finanziamenti concessi alle imprese con meno di 20 dipendenti. Ma la loro operatività è messa a repentaglio dal nanismo: infatti, ci sono stati solo 13 interventi di fusione nel 2010. In fatto di aggregazioni, in questi anni la più attiva è stata la Lombardia con 15 fusioni che hanno interessato 56 confidi, scesi così da 64 a 49 con una contrazione del 23,44%. Ma i «colossi» li troviamo in Piemonte, Toscana ed Emilia-Romagna. Vediamo di che cosa si tratta, con una premessa indispensabile: è difficile avere un quadro preciso del vasto mondo dei confidi perché non esiste una vera e propria associazione di categoria che li rappresenti tutti. A mitigare la frammentazione ci sono alcune aggregazioni a livello nazionale. Come, per esempio, Assoconfidi, di cui dicevamo sopra. E anche Fedart Fidi, nato per volontà di Cna e Confartigianato, e che ha esteso la base associativa anche ai Confidi di Casartigiani e Claai. Infine: Federconfidi, la federazione che associa 48 consorzi e cooperative di garanzia collettiva fidi di area confindustriale, distribuiti in tutta Italia, i quali associano circa 90 mila piccole e medie imprese e garantiscono annualmente finanziamenti per oltre 14 miliardi di euro. Ma ecco i confidi che hanno peso, soldi e potere contrattuale. Descrivendoli ci raccontano molto di questo mondo. Sono tutti al nord, con propaggini alla Toscana.
PIEMONTE In questa Regione ha sede Eurofidi, il principale confidi italiano, iscritto dall’aprile 2010 all’elenco speciale degli intermediari finanziari vigilati da Bankitalia, ex articolo 107 Tub: questo organismo, sempre lo scorso anno, ha incrementato il flusso dei finanziamenti garantiti (2,98 miliardi, +8,49 rispetto al 2009) e delle garanzie rilasciate (1,6 miliardi, +7,73%). Ma è cresciuto anche il numero delle imprese socie (salite dell’8,7%, da 40.892 di fine 2009 a 44.453 al 31 dicembre 2010). Ancora lo scorso anno, Eurofidi ha spesato a conto economico insolvenze per 46,14 milioni (43 milioni nel 2009, +7,3%) e ha accantonato a fondo svalutazione crediti dubbi 7,9 milioni (61,7 milioni l’anno precedente, con un calo dell’8,7%). La maggiore concentrazione di rischi è polarizzata nell’edilizia e nella fabbricazione e commercio di macchine e macchinari. Un altro confidi importante in Piemonte è Unionfidi: nel 2010 aveva 13.479 aziende socie (+7% rispetto al 2009) e ha garantito finanziamenti per 2,148 miliardi.
TOSCANA Artigiancredito toscano è costituito da 17 confidi di primo grado che associano oltre 50 mila imprese, di cui 48 mila circa artigiane e 4.400 non artigiane. Nel 2010 ha garantito un volume di finanziamenti di 678,220 milioni (+2,98% rispetto al 2009). Altro dato interessante: il credito garantito a breve è stato del 32,6%, contro il 35,8% del 2009, mentre quello a medio-lungo termine è passato dal 64,2% del 2009 al 66,8% del 2010. Infine i crediti deteriorati: l’anno scorso sono ammontati a 14,415 milioni, in costante crescita, come la società aveva previsto, rispetto agli anni precedenti (nel 2006 erano 5,213 milioni). Gli effetti della crisi, quindi, si sono manifestati nella loro attesa gravità.
EMILIA ROMAGNA I confidi sono una potenza economica in questa regione: su 170 mila aziende artigiane circa, 86 mila sono iscritte a un organismo di garanzia. Alcuni di loro, come Unifidi Emilia Romagna e Fidindustria, sono già diventati soggetti finanziari a forte patrimonializzazione - vere banche di garanzia per piccoli, medi e grandi imprenditori - vigilati da Bankitalia. Un valido aiuto (quasi) annuale arriva dalla Regione che, solo 16 mesi fa, ha firmato un accordo per abbattere insieme ai Confidi il costo del denaro chiesto alle banche dalle aziende in difficoltà. Infatti, per aiutare concretamente il tessuto produttivo sul fronte dell’accesso al credito, la Regione ha messo sul piatto 50 milioni in un fondo a cui partecipano i tre consorzi fidi regionali, Unifidi (artigianato e piccole imprese), Cooperfidi (cooperazione) e Fidindustria (industriali), che hanno contribuito all’operazione con 25 milioni. Hanno completato la squadra di soccorso 40 istituti di credito che hanno ottenuto da parte di questi consorzi garanzie tra il 50% e l’80%. A queste condizioni, è stato stimato, potranno essere messe in moto garanzie per 750 milioni di copertura. Unifidi Emilia Romagna, costituita nel 1977 su iniziativa di Cna e Confartigianato regionali, con 70 mila imprese aderenti, è il primo consorzio di garanzia in Italia per dimensioni nel mondo associativo. Intermediario finanziario vigilato dalla Banca d’Italia, ha chiuso l’esercizio 2010 con un aumento di operatività del 16%, garantendo oltre 12 mila imprese; ha un capitale sociale di 28,5 milioni di euro e un patrimonio di 64 milioni di euro.
LIGURIA Confart costituisce il più importante consorzio fidi artigiano in Liguria con 7.800 imprese associate. L’anno scorso ha concesso garanzie su circa 70 milioni di finanziamento, con un incremento di oltre il 27% rispetto all’anno precedente. Si è trattato nella maggior parte dei casi di operazioni contratte per sostenere la liquidità aziendale, mentre le linee a crediti a breve termine sono state sostituite da finanziamenti a medio termine con piani di rimborso rateali. In Liguria, i confidi sono comunque molto frammentati e, quindi, non sono ancora in grado di garantire finanziamenti di elevato standing. Ma c’è un progetto e un prococollo d’intesa per arrivare a un unico confidi - con l’unione di Confart Liguria, Cooperfidi, Fidimpresa Liguria, Mediocom Liguria e Rete fidi Liguria - che per dimensioni patrimoniali e operative possa ottenere la qualifica di «Confidi 107».
LOMBARDIA Ancora molto diviso il mondo dei confidi. Ed è per questo che, grazie alla Regione Lombardia (che lo ha rifinanziato ultimamente con altri 20 milioni) è nato Federfidi Lombardia, consorzio regionale di secondo grado, voluto proprio per realizzare un soggetto di controgaranzia di grandi dimensioni: comprende i confidi legati a Confindustria, Api, al mondo dell’artigianato, alla cooperazione e all’agricoltura. Anche in Lombardia, in questo settore, si verificano le situazioni più strane. Ecco due esempi, ma non sono i soli. Prendiamo la Cna: i confidi che ha in ogni provincia non stanno ancora sotto un unico ombrello; una parte si è fusa con i confidi veneti, altri fanno per conto loro. Confidi Lombardia, a sua volta, coagula solo nove confidi confindustriali lombardi, ma ha una propaggine in Piemonte, a Biella. A sua volta, Confidi Province lombarde, sempre di emanazione confindustriale, si rivolge solo alle imprese della provincia di Milano, Monza, Legnano e… Caserta. Infine, Casartigiani, la più piccola delle sigle artigianali, in Lombardia poggia su Artfidi che è stato il primo confidi 107 della Regione. Un inestricabile groviglio.
VENETO La vera novità è Sviluppo artigiano, il confidi promosso da Cna Veneto, che dal 1° gennaio 2011 ha varcato i confini regionali e opera anche in Lombardia. Alle province di Belluno, Padova, Rovigo, Venezia e Verona si sono aggiunte quelle di Brescia, Como, Cremona, Lecco e Pavia. I prossimi ingressi saranno Mantova e Vicenza. L’operazione gli è riuscita con la fusione di Fidimpresa Lombardia realizzata nel 2010. Sviluppo Artigiano è pure lui un intermediario vigilato da Bankitalia. Per 3.000 aziende del produttivo nord est è stato un autentico salvagente. Ora si attendono gli stessi benefici effetti di sostegno alle pmi anche nei territori lombardi appena citati.
Alcuni numeri interessanti: 37 mila sono le aziende associate, gli sportelli sono attivi in 10 province del nord, la garanzia sui finanziamenti è pari a circa 300 milioni di cui il 74,04% sono concentrati soprattutto nell’apertura di linee di credito di breve periodo di data inferiore ai 18 mesi. «Questa fusione» dice Fiorentino Da Rold, presidente di Sviluppo artigiano, «dimostra come sia possibile superare quei campanilismi territoriali e di appartenenza che spesso sono di freno allo sviluppo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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