Dal conflitto d’interessi alla rete d’interessi

di Carlo Lottieri

Il cosiddetto «ventennio breve» berlusconiano è stato caratterizzato da costanti polemiche sul conflitto d’interessi. È comprensibile, dato che il Cavaliere possiede un impero imprenditoriale che si estende in molti ambiti, tanto che quasi ogni decisione governativa poteva essere sospettata di comportare un beneficio a suo favore.
È però bastata la diffusione dei nomi dei ministri del nuovo governo perché il tema del conflitto d’interessi riemergesse. Se già nei giorni scorsi i quotidiani di sinistra avevano associato il professor Mario Monti alla Goldman Sachs e al suo ruolo nella finanza internazionale, ora sono sorti nuovi sospetti nel momento in cui è stato reso noto che due ministri - Elsa Fornero e soprattutto Corrado Passera - provengono da una delle maggiori banche italiane. Per giunta, Passera ha partecipato alla cordata che sta costituendo un importante gruppo ferroviario privato e accede al governo proprio quando si sta per realizzare (e finalmente!) la transizione al mercato.
Quello di Passera, che peraltro ha già lodevolmente annunciato di lasciare Intesa Sanpaolo, non è l’unico caso. La presenza di un ammiraglio, un ambasciatore, un prefetto e altri grand commis può analogamente suscitare timori, perché è evidente che c’è necessità di ridimensionare il settore pubblico e ridurre i ranghi di quanti lavorano nello Stato.
Se insomma con Berlusconi si doveva fare i conti con un enorme conflitto d’interessi personale, ora si profila una rete di interessi che nel suo insieme non è meno significativa. Il professor Monti ha dichiarato di voler eliminare i privilegi: parlava, è ragionevole ritenere, soprattutto del settore statale. Oggi c’è da sperare che nessuno si opponga al conseguimento di quel risultato.
Non è affatto semplice, va detto, pretendere di eliminare ogni conflitto d’interessi. Solo uomini senza storia e venuti dal nulla possono essere davvero privi di legami ed estranei a tutto ciò. Senza dimenticare che nella sua essenza la democrazia porta a votare e decidere sui diritti e sui soldi altrui: ogni possibile parzialità e legittimo sospetto derivano da lì. È vero che altrove esistono regole efficaci ben difese da una cultura diffusa, ma quello che a noi deve primariamente stare a cuore è che le decisioni dello Stato sia trasparenti: che siano visibili da tutti e, se necessario, contestate.
Nel caso specifico delle ferrovie è chiaro che l’Italia deve uscire dal monopolio di Trenitalia, separare la proprietà dei binari e quella dei treni, evitare discriminazione nell’accesso alla rete. Si deve dunque vigilare affinché le riforme non siano a beneficio di qualcuno, ma aprano a tutti (garantendo, ad esempio, i diritti di un’azienda coraggiosa come Arenaways).
Stesso discorso per le banche.

Se oggi, parafrasando Bertold Brecht, è più facile rapinare una banca che aprirne una (a causa di un regolamentazione che ha ucciso quasi ogni concorrenza), dal governo bisogna pretendere che agisca in direzione della libertà d’iniziativa, e non a difesa dei soggetti già presenti e in posizione dominante. Se farà così, nessun sospetto su questo o quel ministro potrà permanere a lungo.

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