Il conflitto d’interessi della sinistra

Una settimana cruciale quella che comincia oggi. Martedì, cioè domani, dovrebbe cominciare in aula alla Camera la discussione della legge sul conflitto di interessi approvata dalla Commissione affari costituzionali. A fine settimana, pare, il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare il disegno di legge Gentiloni sulla riforma del sistema radiotelevisivo che affossa la legge Gasparri in vigore. Tertium: è in atto da alcuni giorni una vera operazione di regime, con la notifica al consigliere d’amministrazione della Rai Angelo Petroni che egli non rappresenta più il ministro dell’Economia, che a suo tempo lo designò, il che vuol dire che la Rai è da considerarsi dominio assoluto del governo e della maggioranza.
È fuori della realtà affermare che si sta dando attuazione a un progetto che metta al tappeto Berlusconi e la sua compagine politica? Fallite le vie giudiziarie perseguite negli ultimi tredici anni, si passa ora all’intervento diretto e pesante della politica, senza riguardi per l’etica e la Costituzione. Non è così? Si ponga mente a quel che vuol dire, stando al disegno di legge in discussione alla Camera, stabilire l’incompatibilità tra incarichi di governo e il possesso da parte di cittadini di patrimoni che superino i 15 milioni di euro. Si mette al bando dalla politica la stragrande maggioranza della classe imprenditoriale. È norma liberale, democratica, costituzionale questa? La domanda che poniamo evita ogni commento perché contiene da sola tutte le considerazioni che ognuno può fare.
Ancora. La proposta Gentiloni di riforma radiotelevisiva fissa fra l’altro un tetto ai ricavi pubblicitari di un’azienda, il che significa che ne è proibita la crescita. Come si fa a concepire una norma del genere? Persino un uomo della sinistra, l’ex senatore ds Franco De Benedetti, si è ribellato a una simile astrusità, che è insieme uno sproposito logico e giuridico. Nel gennaio scorso, quando si cominciò a parlarne, il senatore Maccanico, ex ministro, uomo di grande equilibrio e correttezza, collocato nel centrosinistra non ebbe esitazione a dichiarare che «a sinistra c’è chi vuole colpire Mediaset». I fatti lo confermano.
Ed ecco l’ultima impudicizia politica: il ministro Padoa-Schioppa solleva dall’incarico di consigliere Rai il professor Angelo Petroni. Mi astengo dal contestare giuridicamente il gesto del ministro, che pure fior di competenti confutano con motivi assai seri. Quel che conta, a me pare, è il modo con cui il governo (qui, è chiaro, c’è lo zampino di Prodi), e il ministro in particolare, s’è mosso in questa vicenda. I latini dicevano: est modus in rebus.
Cioè, diciamolo: è mancato lo stile, almeno un po’ di eleganza di comportamento, che ci si dovrebbe aspettare da un ministro con precedenti e cultura di un certo riguardo. Insomma, possibile che la politica induca a non darsi cura di regole - chiamiamole così - di buona creanza? Non c’erano modi e tempi diversi per affermare quello che, più a torto che a ragione, si ritiene un diritto? Sta qui l’aspetto grave della questione.
Dove sono le motivazioni di un gesto che a tutti appare un sopruso? Una «crisi gestionale» della Rai, si dice, che impone «un atto dovuto e legittimo». Lasciamo stare la legittimità, assai opinabile, ma da che cosa è dovuto il gesto? Perché non si è riusciti a far nomine di parte? Eppure l’attuale maggioranza ne possiede tante, persino troppe, di cariche in Rai: presidente, direttore generale, direttori di due telegiornali, direttore dei giornali radio, e di tante altre strutture. Evidentemente si vuole il dominio assoluto.
Ci si chiede perché mai un ministro come Padoa-Schioppa si sia prestato a una simile operazione. Chi qui scrive non è uomo né di apparato né alla ricerca di compiacimenti, come credo sia ben noto, ma è difficile, a questo punto, sfuggire al ricordo di come si comportò lo stesso ministro quando un editorialista di rango come Francesco Giavazzi l’anno scorso gli rivolse alcuni correttissimi rilievi.

Inviò una replica ai suoi amici per via e-mail ma non degnò di risposta il professor Giavazzi. Il che non è certo un buon segno di correttezza e di classe. E finiamola qui, perché non vogliamo trascendere. Il ministro però, non si crederà mica un padreterno?

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