Il conflitto d’interessi va in aula ma la maggioranza è già divisa

Circa 80 deputati non voterebbero la legge che preclude Palazzo Chigi a Berlusconi. Il Pdci: "È debole". L’Udeur: "No, va migliorata". La Cdl: colpito ogni imprenditore che vuole impegnarsi in politica

Il conflitto d’interessi va in  aula ma la maggioranza è già divisa

Roma - Tutto come previsto. O quasi. Oggi il progetto di legge Franceschini sul conflitto di interessi (che se approvato precluderebbe a Silvio Berlusconi la via di Palazzo Chigi) arriverà nell’aula di Montecitorio. Ma il dibattito parlamentare durerà più a lungo di quanto preventivato.
La conferenza dei capigruppo della Camera ha, infatti, aumentato il pacchetto di ore a disposizione dei deputati da 26 a 42 delle quali dieci per la discussione generale e 32 per l’esame del provvedimento. Non è poco considerato che nella scorsa legislatura per discutere di conflitto di interessi si stabilirono 21 ore e in quella precedente appena quindici. «È stato garantito un confronto aperto e reciprocamente rispettoso della regola», ha commentato il presidente dell’assemblea, Fausto Bertinotti, autore della proposta pro-allungamento.
Il risvolto più immediato è un ulteriore slittamento dell’approvazione del testo che avrebbe l’effetto di eliminare il leader della Cdl dalla scena politica o di imporgli la dismissione delle proprie aziende attraverso un blind trust. Oggi pomeriggio scadrà il termine per la presentazione degli emendamenti, domani saranno votate le pregiudiziali di costituzionalità, mentre giovedì il Parlamento in seduta comune eleggerà un giudice costituzionale. Quindi si approfondirà l’esame del pdl Franceschini solo dopo le amministrative. Parzialmente soddisfatto Elio Vito, capogruppo di Forza Italia alla Camera. «Ora l’Ulivo non potrà utilizzare il conflitto di interessi come clava in campagna elettorale - spiega - ma speriamo di far comprendere a parte dell’opposizione che in questo provvedimento ci sono norme incostituzionali».
Il compito si profila non impossibile. L’Unione si presenterà all’appuntamento con l’aula in ordine sparso. Lo spettro delle opinioni è ampio. Se sul testo finora elaborato si è riuscita a raggiungere una convergenza tra l’Ulivo e Rifondazione comunista, le altre forze di maggioranza hanno pareri discordanti. Massimo Donadi, capogruppo dell’Italia dei valori ha già preannunciato «una dura battaglia di opposizione perché il testo è inadeguato a risolvere le situazioni di grave conflitto di interessi». «Debole e scialbo», gli ha fatto eco Pino Sgobio (Pdci) preannunciando che i comunisti italiani avranno parecchie difficoltà a votarlo. Entrambe le formazioni hanno spinto l’acceleratore sul tema dell’ineleggibilità, ovvero impedire l’accesso in Parlamento ai detentori di ingenti patrimoni, mentre il Pdl Franceschini insiste sull’incompatibilità sancendo che coloro che possiedono un patrimonio superiore ai 15 milioni di euro non possano assumere incarichi di governo. In mezzo al guado i verdi.
Dall’altra parte della barricata l’Udeur. «Confermo le nostre riserve, il testo può essere migliorato», ha ripetuto il capogruppo Mauro Fabris. Sulla stessa lunghezza d’onda la Rosa nel pugno. Inclusi i tentennamenti del Sole che ride, al momento oltre un’ottantina di deputati della maggioranza non voterebbe il testo così com’è e il percorso rischia di farsi accidentato.
La Casa delle libertà e il suo leader Silvio Berlusconi sono compatti nel «no». «Abbiamo subito cose macroscopiche. Vogliono vietarmi di fare politica», ha detto l’ex premier aggiungendo di non aver fatto nulla «per fare gli interessi di Mediaset e delle mie aziende altrimenti la sinistra mi avrebbe attaccato, distrutto e insultato».

«Ci troviamo di fronte all’introduzione di un criterio classista nella possibilità di svolgere attività politica di governo che discrimina imprenditori, professionisti e i loro parenti», hanno sottolineato Fabrizio Cicchitto (Fi) e Maurizio Ronconi (Udc) mettendo in evidenza che l’obiettivo è «disincentivare coloro che generalmente non votano e non si candidano per la sinistra». «Parole grosse», ha replicato il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni. Ma da oggi «si parrà la nobilitate» dell’Unione.

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