Roma - La proposta di legge Franceschini sul conflitto di interessi potrebbe decurtare di una unità la schiera delle riserve della Repubblica. Se il testo fosse approvato nella sua attuale formulazione, il presidente della commissione Esteri del Senato, Lamberto Dini, avrebbe minori possibilità di tornare a ricoprire una carica di governo.
La consorte dell’ex premier, Donatella Zingone Dini, è presidente del Grupo Zeta, una conglomerata con notevoli interessi nel Centro America che spaziano dalle costruzioni al turismo ai supermercati. L’articolo 2 del pdl, infatti, precisa che «sussiste il conflitto di interessi nei casi in cui il coniuge del titolare di una carica di governo sia titolare di interessi economici privati che possano condizionarlo nell’esercizio delle sue funzioni». Certo, la facoltosa moglie non ha rappresentato un ostacolo all’assunzione dell’incarico nel 1995, ai tempi del famoso «ribaltone», ma se si volesse ripensare all’ex direttore generale di Bankitalia per un governo-ponte (come più volte ipotizzato in questi mesi), l’Unione dovrebbe riflettere su queste premesse.
Allo stesso modo, il centrosinistra con una legge simile non potrebbe offrire incarichi governativi al senador Luigi Pallaro per puntellare la fragile maggioranza a Palazzo Madama. L’ottantenne senatore italo-argentino è soprattutto un imprenditore che attraverso la Grupo Pallaro Hermanos controlla un piccolo impero che si estende nei settori informatica, turismo, alimentare e immobiliare. Lo stesso vale per un altro senatore «estero» dell’Ulivo: il cosentino Renato Turano, il «re del pane» che nell’Illinois ha dichiarato un imponibile da 28,5 milioni di dollari (circa 23 milioni di euro).
Ma il pdl Franceschini è implacabile nell’imporre un ritorno all’epoca dei politici di professione. Le carriere stroncate non sarebbero solo quelle di Silvio Berlusconi, «reo» di possedere Fininvest, e di Pier Ferdinando Casini, imputabile perché convivente con la manager-ereditiera Azzurra Caltagirone. Anche nel centrosinistra non potrebbero trovare più spazio nomi come quello del governatore sardo Renato Soru, che detiene il 27,5% di Tiscali (ai valori correnti di Borsa circa 275 milioni di euro). O come Maria Paola Merloni, deputata della Margherita e figlia di Vittorio Merloni, presidente di Indesit Company, una realtà internazionale degli elettrodomestici.
La parentela e la proprietà non lasciano scampo a nessuno. Non si salva Pietro Lunardi, che da titolari dell’impresa di progettazione Rocksoil, non potrebbe tornare più a occuparsi del ministero delle Infrastrutture. Non si salva Guido Crosetto, coordinatore regionale di Forza Italia in Piemonte e deputato: la sua famiglia è proprietaria di un’azienda produttrice di macchine agricole. Idem per il senatore marchigiano, Francesco Casoli, presidente di una società che produce cappe per cucina. Non si potrà più far politica se si è industriali o semplicemente benestanti? Non è detto, ma comunque due imprenditrici dovranno riflettere: l’umbra Maria Luisa Todini, già eurodeputata azzurra e presidente dell’omonima impresa di costruzioni. E soprattutto, Michela Vittoria Brambilla, l’animatrice dei Circoli della libertà. La presidente dei Giovani di Confcommercio è titolare di imprese operanti nel settore alimentare. Se deciderà di fare il salto verso la politica, probabilmente non sarà costretta al blind trust, ma la ragnatela delle incompatibilità potrebbe costringerla ad affidare le proprie aziende a un procuratore (articolo 9 comma 3).
Insomma, un po’ più di clemenza forse era lecito attendersela da un centrosinistra che in passato ha votato governi dei quali ha fatto parte un’esponente della principale dinastia industriale italiana come Susanna Agnelli.
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