Il congresso Rutelli mette Franceschini sotto tutela

RomaMentre scende in campo ufficialmente il terzo uomo, il chirurgo Ignazio Marino, che si candida alla segreteria del Pd, Francesco Rutelli (nella foto) schiera le sue truppe sul fronte di Dario Franceschini. Con molti se e ma.
L’ex leader della Margherita bolla in partenza il congresso Pd che si sta aprendo: «brutto», incentrato su «un regolamento di conti iniziato un quarto di secolo fa», quello tra Veltroni e D’Alema. Il suo appoggio al segretario è condizionato: «Il suo programma deve essere compatibile con le proposte e le idee che abbiamo presentato», e avere una decisa caratura riformista e «coraggiosa»: il Pd deve saper «criticare il sindacato se agisce in modo settario e si oppone a riforme utili ai lavoratori», e deve prendere le distanze «da quei settori della magistratura che si comportano in modo fazioso».
Ma soprattutto, avverte Rutelli, il Pd «deve superare il concetto di leadership solitaria» e deve «saper valorizzare tutte le energie che ha: credo che non giovi creare un gruppo di fedelissimi intorno a un capo, in questo nessuno potrà mai superare Berlusconi».
Anche nel campo di Franceschini, insomma, l’operazione «leader dimezzato» è in corso. È lo stesso candidato, Pierluigi Bersani, ad annunciare che lui non sarà un vero capo, negando che possa esserci un «automatismo» tra il ruolo di segretario e quello di premier. E dove D’Alema enuncia chiaramente il punto centrale della sua campagna congressuale: lo smantellamento del partito «all’americana» introdotto da Veltroni, e dunque la fine del «leaderismo plebiscitario» che è animato dallo «spirito dell’antipolitica» e che configura una sorta di «berlusconismo debole articolato su capo, media e massa».
Il cuore della battaglia congressuale è tutto lì, sul modello di partito e soprattutto sul ruolo del suo capo. I nomi in lizza sono del tutto secondari: per Veltroni la candidatura Franceschini è lo strumento per difendere la continuità col «suo» Pd, ma secondo molti l’ex leader già pensa ad un secondo tempo - dopo la probabile sconfitta alle Regionali 2010 - con in mente il nome di Sergio Chiamparino. La cui defezione dalla corsa è avvenuta all’ultimo minuto, proprio dopo un colloquio con Veltroni, e senza che i suoi supporter ne abbiano capito le vere ragioni, visto che solo poche ore prima il sindaco di Torino si era detto pronto alla candidatura.

Franceschini era l’unico nome che garantiva l’appoggio degli ex Ppi, allergici all’idea di partito leaderistico. E persino la «nuovissima» Debora Serracchiani afferma che al partito non serve «una figura salvifica». Chiunque vinca, insomma, ad ottobre il Pd avrà un nuovo segretario sì, ma non un vero leader.

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