Consulenze d’oro: "Non ci furono minacce"

Le indagini. L’ex funzionaria comunale ridimensiona le accuse. Finanzieri a Palazzo Marino per il crac Zincar

Per il giudice Paolo Ielo, che a marzo aveva respinto la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura, era una delle vittime del «rude» spoils system con cui la giunta Moratti aveva operato il ricambio del blocco dirigenziale. E per questo, il gip aveva chiesto un supplemento di indagine per le cosiddette «consulenze d’oro». «Il materiale investigativo - aveva scritto Ielo - appare idoneo a sostenere l’accusa per il fatto commesso in danno di Gardino». E Silvia Gardino, ieri, è stata nuovamente sentita dal pm Alfredo Robledo, che si appresta a chiudere l’inchiesta. Questa volta, l’ex funzionaria del Comune ha ridimensionato le minacce di «mobbing» che le sarebbero state fatte dal direttore del personale Federico Bordogna. Niente pressioni illecite né coercizione. Una buona notizia per Palazzo Marino, che ha ancora più di un fronte aperto con la magistratura.
Crac Zincar
Dopo aver sequestrato documenti nella sede della società di via Larga, fallita per un buco tra i 14 e i 18 milioni di euro, ieri i militari del Nucleo di polizia tributaria della Gdf si sono presentati anche in Comune. Le Fiamme gialle hanno acquisito le trascrizioni delle audizioni in commissione Bilancio di quanti hanno avuto un ruolo nella srl a capitale pubblico. L’inchiesta, coordinata sempre dal pm Robledo, al momento vede ancora come unico indagato l’ex direttore generale di Zincar, Francesco Baldanzi. L’accusa è di peculato. Lo scenario probabile, però, è che l’ipotesi di reato viri verso la bancarotta, cercando di individuare chi - all’interno del Comune - abbia spinto per l’acquisizione di una società divenuta nel tempo un pozzo degli sprechi.
Derivati
In questo caso, il Comune è la vittima della finanza «facile». Secondo la Procura, infatti, le banche avrebbero truffato Palazzo Marino nella rinegoziazione del debito con contratti «derivati» per gestire il rischio di tasso d’interesse. Un sistema costato alle casse pubbliche circa 100 milioni di euro. Un illecito profitto - secondo la Procura - per quattro istituti di credito (Defpa, Ubs, Deutsche e Jp Morgan) ai quali erano stati sequestrati oltre 300 milioni di euro.

Le banche, il 7 maggio, avevano presentato un’istanza di revisione. E, ieri, la Procura ha firmato con tre dei quattro istituti (Defpa, Ubs, Deutsche) l’accordo per la riduzione dei beni posti sotto sequestro, per un valore di 100 milioni.

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